Triestino di nascita, milanese d’adozione, porteño per destino.
Appena può Gabriele Orlini ama tornare nella sua intima e malinconica Buenos Aires.
Non ha radici ma gambe e ha scelto di fare il mestiere del vento per non tradire quella sottile e vitale necessità di sentirsi altrove.
Fotogiornalista, scrittore, fotografo documentarista, film director, viaggiatore per una necessità incurabile dell’anima. Fermo sostenitore del viaggio come mezzo insostituibile di conoscenza, usa l’arte del racconto visuale per descrivere le lotte e le contraddizioni del mondo. Con la precisione metodologica del fotoreporter e la visione del narratore si dedica a quelle storie che sembrano voler rimanere nascoste.
Racconta le storie dei singoli, uomini e donne che insieme formano quel puzzle scomposto chiamato Umanità e a cui tutti, in qualche modo, apparteniamo. Le racconta soprattutto per mezzo della fotografia, ma anche con la scrittura, per dare una voce forte specialmente a quelle storie invisibili, perse nel marasma mediatico del quotidiano. Ama entrare nelle storie forti e rimanerne, suo malgrado, impigliato.
Gabriele Orlini parla del travaglio dei profughi e delle loro speranze, di abuso sessuale e di violenza sulle donne dall’Africa al Sud America, di bordelli e di bambini soldato, di emarginati, … ma anche di sorrisi. Quando possibile, preferisce immergersi in storie con progetti a medio e lungo termine. Insegnante per vocazione, ama fare seminari per aiutare le persone a riconoscere e sviluppare la propria capacità narrativa.
Crede ancora che la fotografia deve arrivare prima del nome del suo autore, per il rispetto delle storie che porta con se.