Mahut con il suo elefante | ©2019, Gabriele Orlini
Mahut con il suo elefante - Mondulkiri, Cambogia | ©Gabriele Orlini, 2019
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Gabriele Orlini

Nella foresta degli immortali

Un elefante avanza lento tra le fronde degli alberi guidato dal suo mahut in un silenzio quasi liturgico.
Pubblicato il 2 Settembre 2019

Sono molte le cose che il mestiere di fotoreporter mi ha regalato. Una di queste: guardare negli occhi un elefante libero nella sua foresta.
E poterlo accarezzare

Diari dalla Cambogia | Mondulkiri, 01/02 settembre 2019

Siamo partiti da Kratìe in direzione Mondulkiri il mattino presto, con il viso ancora segnato dal sonno e i vividi ricordi dell’isola di Khao Trong negli occhi. Ci attendevano almeno quattro ore di viaggio tra le dissestate strade della Cambogia orientale e le avremmo trascorse in un furgone che già immaginavamo sarebbe stato stipato di persone.

Non rimanemmo delusi.
In un minvan da 11, abbiamo trascorso 4 ore e 45 minuti in 24, compresi 2 bambini e 2 due neonati. E senza farci mancare nulla: durante tutto il viaggio le peggiori canzoni e musiche cambogiane suonavano a palla nel piccolo van.
Ma, nonostante il poco spazio, la confusione, la grande amalgama di persone, abbiamo anche trovato la nostra comodità e io ho anche dormito senza troppi problemi.
(Anche se le mie gambe che sono indubbiamente lunghe arrivati a destinazione non erano molto d’accordo con questa mia ultima affermazione!)

Mondulkiri, il santuario degli elefanti

Nel Mondulkiri, regione tra le montagne nella Cambogia orientale che segna anche una parte del confine con il Vietman, abitano i bunong, popolo animista che fin dai tempi più remoti, ha impostato il proprio vivere a contatto con gli elefanti. I mahut ne sono i guardiani, se ne prendono cura per tutta la vita e anche per le generazioni future, passando il compito al proprio figlio, fratello, nipote, fino alla conclusione del ciclo di vita dell’elefante che, di fatto, è considerato un elemento non sono della famiglia ma dell’intera generazione.

In una delle vie trafficate da tuk tutk della cittadina di Sen Monoron, cerchiamo un driver che sapesse parlare inglese o francese (cosa non troppo semplice) per recuperare un contatto locale che ci potesse introdurre in un villaggio nella foresta. Sono molti i progetti privati di salvaguardia degli elefanti e di protezione dei bunong, anche governativi, ma molti di essi – per recuperare i fondi necessari – sono purtroppo divenuti dei veri e propri tour operator per turisti facoltosi. E non era certo quello che cercavamo.

Il nostro obiettivo era capire il rapporto e la relazione tra il mahut e il suo elefante, entrare nella quotidianità della foresta e nelle case dei bunong.
Abbiamo incontrato Pol che ci porta da Cham, un ragazzo khmer con un buon inglese, un ottimo francese e pure qualche parola in italiano, e si dice disponibile ad accompagnarci da un suo amico d’infanzia, Nol di 24 anni, che è proprio un mahut e, con la sua famiglia, accudisce gli elefanti nella foresta.

Chan e Nol sono cresciuti insieme ma parlano dialetti diversi: uno il khmer l’altro il bunong e hanno sviluppato un dialogo tra loro mescolando le due lingue.
Con il suo tuk tuk, Chan esce dal centro abitato e si dirige sulla strada principale per tagliare, a un certo punto, di netto verso uno sterrato fangoso, in direzione della foresta.

La casa di Nol è di legno, molto spartana, e la pioggia incessante con il riflesso della terra rossa circostante sembra farla brillare. È una situazione calma dove il rumore della pioggia sulle assi di legno accompagna la scena come fosse una colonna sonora.
Ci mettiamo in marcia in direzione della foresta verde smeraldo. Sopra le nostre teste si scorgono alcune aquile sorvolare la foresta e sembra la vogliano proteggere. Non si sentono rumori, solo la pioggia che solca la strada e rende il nostro cammino incerto sulle deboli suole dei miei sandali.

Ho sempre pensato che per poter entrare in contatto con chi voglio raccontare, io debba portarmi quanto più possibile alla stessa misura. Niente scarpe in goretex, calde e comode, perché loro hanno sandali, e i piedi si bagnato e si sporcano di fango. E per rispetto a loro, indosso sandali anch’io e i miei piedi sono dello stesso colore della terra e del fango

Dopo un cammino indefinito, Nol scompare dentro il fitto della foresta e Chan ci dice di attendere senza fare rumore. Passa un tempo senza tempo e dal cuore della foresta arriva. Avanza lento tra le fronde degli alberi guidato dal suo mahut in un silenzio quasi liturgico. La foresta li accoglie ed è testimone della loro muta intesa. Qualche suono dalla bocca di Nol è il dialogo con Kropun, una giovane elefantessa di 38 anni che la famiglia di Nol accudisce da sempre. Kropun c’era già quando lui nasceva e con lui trascorrerà tutta la vita, e sarà lui che lei vedrà andar via nella terra degli spiriti dei bunong.
Ma Kropun continuerà a vivere, accudita dal figlio di Nol, fino a quando lei stessa si addormenterà nella Foresta degli Immortali, nel Mondulkiri, in Cambogia.

La foresta degli immortali
La Foresta degli Immortali – Modulkiri, Cambogia | ©Gabriele Orlini, 2019

Nota
– Nelle foreste del Mondulkiri vivono 324 elefanti (censiti e protetti dal WWF) allo stato brado e rappresentano uno degli animali selvatici che popolano la foresta della provincia. Si muovono in continuazione e un elefante riesce a consumare anche cento chili tra bambù, arbusti e fogliame al giorno.
– I bunong custodiscono 84 elefanti. Si tratta di animali addestrati al lavoro: nei campi, nel trasporto o nella movimentazione di tronchi d’albero etc. Ma allo stesso tempo sono anche animali anziani che i bunong, quale popolo animista con un ancestrale legame con il ciclo della natura, accompagnano sino alla fine del loro percorso di vita.
– La famiglia di Nol ha in custodia 8 elefanti e Kropun, l’elefantessa di Nol, è nata da una femmina della famiglia.

Testo:  Gabriele Orlini
Testo originale in Italiano - Traduzione interna
Cambogia
Mondulkiri, Cambogia
DooG's Founder
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Italia
Documentary Photoreporter
Un training on the travel per imparare sul campo un mestiere, a cura del fotoreporter Gabriele Orlini.

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