Quando c’è bassa marea, a Jambiani, un piccolo villaggio di pescatori nel sud est di Unguja – la maggiore delle isole che compongono l’arcipelago di Zanzibar – sembra di poter raggiungere l’orizzonte semplicemente camminando. L’oceano se ne sta in disparte, oltre la barriera corallina. Lo si sente borbottare in lontananza. Un gruppo di donne avvolte nei loro kanga colorati ed equipaggiate con secchi, reti, boccagli e maschera da snorkeling si incammina verso il sorgere del sole. Sono le Sponge Farmers, le allevatrici di spugne di Jambiani. Sono tutte donne, la maggior parte madri single, persone spesso lasciate ai margini della società perché non hanno un marito che possa occuparsi di loro.
Il primo vivaio è stato creato a Jambiani nel 2009 da una piccola ONG chiamata Marinecultures. Lo scopo dei due fondatori, Christian Vaterlaus e Connie Sacchi, era quello di creare un’attività in grado di dare un reddito alla popolazione locale, soprattutto alle donne, e che potesse essere sostenibile da un punto di vista ambientale. I mari di tutto il mondo si stanno impoverendo a vista d’occhio. La situazione è peggiore proprio in quei paesi dove gran parte della sussistenza locale dipende direttamente dalle risorse messe a disposizione dal mare. In queste zone la pesca eccessiva, la distruzione degli habitat, l’inquinamento e la perdita di biodiversità si sommano a povertà, mancanza di opportunità economiche, diseguaglianza di genere e disoccupazione. Era necessario fare qualcosa.
Le spugne (phylum Porifera) sono organismi animali pluricellulari, sessili, che si nutrono di particelle organiche contenute nell’acqua. Le spugne contribuiscono naturalmente al funzionamento ecologico degli ecosistemi marini attraverso la filtrazione dell’acqua, e come habitat o fonte di cibo per altri organismi. A differenza di altre specie usate nell’acquacoltura, gli allevamenti di spugne possono essere creati con competenze tecniche di base e poche risorse finanziarie. A questo si aggiunge il fatto che, da un punto di vista economico, la richiesta di spugne naturali da bagno è molto alta e per questo produrle può diventare un’attività remunerativa.
Una spugna ci mette dai 9 ai 12 mesi per svilupparsi. Una volta raggiunta una determinata grandezza le spugne vengono raccolte e portate sulla terraferma. Qui vengono lavate con un detergente naturale per togliere l’acqua salata e ogni residuo animale o vegetale. “Dopo averle sciacquate più volte e aver fatto un controllo sulla qualità del prodotto, mettiamo le spugne in questi sacchi a rete e li appendiamo lungo le pareti della sede di Marinecultures per farle asciugare” ci spiega Ali Mahmudi Ali, project manager di Marinecultures. Una volta asciutte sono pronte per essere vendute negli shop degli hotel o ai turisti nei Farmers’ Market locali.
Entrare nella Sponge Farm fa capire tutta la bellezza e la durezza di questo lavoro. Immerse fino al petto e sotto un sole cocente già dai primi raggi del mattino, le farmers passano ore a tenere pulite le cime e le boe che delimitano il vivaio. “Quando arrivo alla Farm la prima cosa che faccio è controllare che sia tutto a posto – ci dice Aysha Said, una delle sponge farmer che abbiamo incontrato – poi mi dedico a pulire le cime e le boe dalle alghe, per mantenere l’ambiente dove crescono le spugne sicuro per il loro sviluppo.”
Nel 2020 quasi il 90% delle spugne presenti nei vivai è perito per cause ancora incerte. Nel 2021 gli esperti di Marinecultures avevano deciso di spostare una parte delle spugne in acque più profonde, le stesse dove dal 2014 allevano coralli. Le spugne venivano riportate nella Farm solamente quando erano quasi pronte per essere raccolte, così le allevatrici potevano lavorare in autonomia. Inoltre, avevano deciso di affiancare alle spugne anche delle alghe in modo che la coltivazione non fosse più una monocoltura. Una delle ipotesi, infatti, è che le spugne in monocoltura siano più vulnerabili. Questa soluzione aveva funzionato per un periodo ma nel 2022 perdite massicce avevano colpito anche il vivaio in acque più profonde. La situazione si è lentamente stabilizzata dopo la stagione delle piogge ma ancora non si è tornati ai livelli di produzione di qualche anno fa.
Entrare nella Sponge Farm fa capire tutta la bellezza e la durezza di questo lavoro
A inizio 2023 un consorzio di ricerca internazionale ha dato il via a un programma di studi sulla salute della laguna di Jambiani. Verranno così analizzati l’inquinamento, i nutrienti e i contaminanti, gli agenti patogeni e tutto ciò che è importante sapere per avere un ecosistema sano. Il programma durerà due anni e i risultati andranno a beneficio della popolazione locale che dipende strettamente dal benessere della sua laguna.
Nel frattempo è stata creata la cooperativa Ushirika wa Wakulima wa Sponji Zanzibar, un passo importante per l’indipendenza delle allevatrici di spugne. La cooperativa è riconosciuta dal governo e sono in programma anche corsi di formazione per la tenuta dei registri. L’intervento di Marinecultures è così sempre meno necessario, proprio come auspicato dalla stessa NGO.