Natascia Aquilano

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Tessere un sari con trame broccate in seta, unicamente a mano, oggi più che mai equivale a tessere un sogno, sinonimo di cultura e identità.
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Varnasi, India: Lavorazione artigianale dei shari | ©Natascia Aquilano, 2019

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Varanasi, India

Quando si dice India si parla di uno dei paesi più controversi e affascinanti. Un paese ruvido, come la sua povertà e liscio come la sua seta. Un paese che ti acceca con i suoi colori e ti seduce con il fascino e la raffinatezza delle sue stoffe. Il popolo indiano, infatti, è da secoli uno dei più grandi produttori di tessuti, dietro i quali si celano tradizioni secolari e maestria artigianale. La tessitura in India è un’arte antichissima, tanto da essere persino rappresentata sul tricolore indiano.

Al centro della bandiera si trova infatti, il charkha (arcolaio in lingua indi), per tessere a mano cotone e seta. Uno strumento con un gran valore morale, che simboleggia la dignità e l’importanza che riveste un artigiano in una società intenta a evolversi, ma senza assoggettarsi completamente alle dinamiche e ai ritmi industriali. Del resto il popolo indiano è noto per essere dedito ai lavori manuali, alla stanchezza fisica che tempra corpo e spirito.

Varnasi, India: Lavorazione artigianale dei shari | ©Natascia Aquilano, 2019

Il sari: una tradizione da oltre 5mila anni

Non stupisce, quindi, che sia proprio una striscia di stoffa che va dai cinque ai nove metri l’abito tradizionale e nazionale della donna indiana: il sari. Inizialmente realizzato in cotone e successivamente in seta, il sari ha resistito alla prova del tempo e oggi ha più di 5mila anni. Per secoli la città sacra di Varanasi è stata conosciuta in tutto il mondo per i suoi raffinati sari in seta lavorati a mano. Addirittura leggenda narra che questi furono impiegati per avvolgere il corpo di Buddha prima della deposizione. Ma non solo, sembrerebbe che ogni sposa indiana vorrebbe avere nel proprio corredo un sari in seta di Varanasi. Oggi purtroppo, per i sari artigianali non c’è più mercato e gli artigiani della seta sono sempre più esclusi dal boom economico indiano, temendo che la lavorazione a mano nell’arco di una generazione cessi totalmente di esistere. Molti, pur di non abbandonare del tutto questo mestiere, cedono ai compromessi del mercato, utilizzando seta più economica mista a poliestere e telai elettrici a discapito della qualità e di una tradizione che si tramanda ormai da secoli.

Ma c’è anche chi resiste, chi in un mondo fortemente accelerato continua ad amare il passato, a valorizzarne memorie e tradizioni, conducendoli nel futuro con il tempo a loro necessario, dove ogni secondo è scandito dal rumore gracchiante dei telai a mano. Impiegando non due, ma trenta giorni per tessere il sari di una sposa o il “sari della vita”. Abbozzando manualmente su fogli di carta, con gusto proprio e creatività, i motivi che andranno ad abbellirlo. Favorendo la collaborazione e dando un valore differente, non soltanto economico, a quella striscia di stoffa che unisce passato, presente e futuro. Un valore fondamentale che si tramanda di padre in figlio, proprio come un cognome o una proprietà, diventando uno stile di vita virtuoso e duraturo. Tessere un sari con trame broccate in seta, unicamente a mano, oggi più che mai equivale a tessere un sogno, sinonimo di cultura e identità.

Varnasi, India | ©Natascia Aquilano, 2019

Testo e Foto:  Natascia Aquilano
Testo originale in Italiano - Traduzione interna
India
Varanasi, India
DooG's Autore
Natascia Aquilano
Italia
Photoreporter

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