Era il 2012 e mi chiesero di andare, durante la stagione dei monsoni, nell’estremo nord-est dell’India per un reportage negli stati del Meghalaya e Assam.
Pur non provando alcuna curiosità e nessuno sconfinato amore per l’India – come invece accade a molti miei colleghi – accettai il servizio senza riserve. Ancora non sapevo cosa volesse dire lavorare con la macchina fotografica in quel periodo dell’anno.
Monsoni: la stagione umida
È un clima tropicale umido (molto umido!) tipico del subcontinente indiano, del sud-est asiatico e della Cina meridionale. I venti caldi e particolarmente umidi provengono dall’oceano indiano e soffiano dal mare verso la terra ferma. Dopo aver percorso il tavolato del Deccam si scontrano con il massiccio dell’Himalaya e qui si raffreddano scaricando grandi quantità di pioggia.
A mie spese compresi perché lo stato di Assam è considerata la zona più piovosa al mondo. E il Meghalaya – che significa: Dimora delle nuvole è la zona più umida del pianeta con costanti del 98%.
Preparai la borsa con pochi indumenti leggeri e con tessuti che potessero asciugarsi molto rapidamente. Arrivato sul posto dopo 14 ore di volo e tre scali, mi resi conto che se mi fossi vestito tutto di nylon non avrebbe fatto, comunque, alcuna differenza.
L’umidità attaccata alla pelle era l’unico indumento che non riuscivi a toglierti e le frequenti piogge erano il solo sollievo a uno stato di perenne fastidio.
Impiegai una settimana per far asciugare alcune t-shirt, lavate dopo che i profumi derivanti dal gran caldo iniziarono a diventare un problema sociale. Ma abbandonai subito questa pratica e decisi che mi sarei lavato, vestiti compresi, alle 5 di ogni pomeriggio, quando arrivava il gran scossone della sera. E questa fu un’idea vincente!
La vecchia Hasselblad
Per quel reportage scelsi di portare con me, oltre ai corpi digitali, un corpo medio formato: una vecchia Hasselblad 503 anni ’80 con una manciata di pellicole 120 già scadute ma sempre conservate nel frigo di casa al posto della verdura. Cosa non si fa per la fotografia!
Riportai tutto in Italia senza mai poterla utilizzare. La mia Hasselblad, ottica compresa, pur conservata dentro la fidata HPRC a tenuta stagna si era ricoperta di un sottile strato di muffa bianca che ne impediva l’utilizzo.
Nonostante tutti gli imprevisti, lavorare durante la stagione dei monsoni si rivelò una delle esperienze più straordinarie che potessi vivere e lo rimane anche oggi, che ho molta più esperienza e luoghi ben complessi nelle scarpe.
Nella stagione delle piogge i paesaggi assumono dimensioni oniriche, e la costante luce piatta metteva a dura prova la mia preparazione di fotografo. Ma in quella dimensione ovattata non si può fare altro che immergersi anima e corpo e divenire noi stessi parte di quell’aria densa, bagnata, compatta, che entra nei polmoni e fa mancare il fiato. In un unico pensiero: sembrava di camminare sulle nuvole. E ogni passo era un rimbalzo.
Clima in Cambogia
Come molte altre aree del pianeta, grazie anche alla sua particolare latitudine e una altitudine abbastanza uniforme, è caratterizzato da solo due stagioni: quella secca da ottobre a fine aprile e quella umida da maggio a settembre.
Se da un lato viaggiare in Cambogia tra ottobre e dicembre permette di avere temperature abbastanza miti intorno ai 26°, altra cosa è farlo tra maggio e giugno in quanto i 35° di media sono accompagnati da altissimi tassi di umidità.
Noi percorreremo il paese verso est un mese prima della fine della stagione dei Monsoni. La stagione umida è il periodo dove si verifica circa il 60% delle precipitazioni annuali e le temperature medie sono intorno ai 25°.
Ci attendono precipitazioni intense e relativamente brevi; limitate in alcune ore della giornata ma capaci di allagare in pochi istanti intere piantagioni, foreste, o villaggi.
Nel modo in cui ci muoveremo, nelle zone in cui lavoreremo, potremo contare sulla totale assenza di turisti e, sopratutto, vivere le reali condizioni di vita delle persone nei villaggi, partecipando alla loro quotidianità durante le difficoltà che derivano dall’abitare in un clima… bagnato.