Le empanadas a Buenos Aires sono come la farinata a Genova: le trovi dappertutto e all’apparenza sono tutte uguali. Stessa forma, stesso colore, ripieni simili. Ma dopo un po’, presa confidenza, si comincia a capirne le differenze e a eleggere il proprio posto del cuore.
Abbiamo scoperto la cucina di Sebastian quasi per caso. Avevamo deciso di andare a San Telmo, a piedi, da Plaza de Mayo. Una passeggiata piuttosto lunga nella calura estiva di un marzo porteño, ma il fascino della città ha vinto sulla rapidità dei recorridos – gli autobus cittadini. Girare per le vie di Buenos Aires è facile. La città segue una pianta regolare, a quadras – il corrispettivo argentino dei blocks statunitensi – dove le vie formano angoli di 90 gradi e regolari blocchi quadrati.
Lasciando così la vista del balcone dove Evita Peron fece il suo discorso alla nazione, abbiamo preso Bolivar, direzione sud.
Un’altra caratteristica di Buenos Aires è la lunghezza delle sue strade, soprattutto le Avenidas. Si dice che Avenida Rivadavia, con i suoi quasi 25 chilometri, sia una delle strade più lunghe del mondo. Bolivar, la nostra calle, non è così lunga ma si difende bene, attraversando i barrio Monserrat, San Telmo e Barracas.
Poco prima dell’incrocio Bolivar y Chile – qui le indicazioni si danno indicando l’incrocio – notiamo una scritta colorata ma un po’ sgualcita, con delle decorazioni che rimandano ad alcune stampe della malinconica Buenos Aires che trasuda fumo e tango.
Giunti ad una vetrina che in un primo momento passa inosservata e certamente testimone di tempi migliori, ora spinti da una decadente curiosità, entriamo. L’ambiente è piccolo e vissuto: qualche sgabello, un bancone, un frigo e un ventaglio di profumate empanadas: carne picada (ovvero macinata), roquerford y queso, verdure, pollo. Le migliori finora mangiate.
E da quel giorno, un salto da Sebastian segna l’inizio di ogni nostro ritorno a Buenos Aires.