Ilaria Lazzarini

Pissy, the Devil’s Hole

Pissy è il nome di una cava di granito situata a pochi minuti dalla capitale del Burkina Faso, dove lavorano più di tremila persone.
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Donne e bambini percorrono i ripidi sentieri della cava | Ilaria Lazzarini, ©2021

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Pissy, Ouagadougou, Burkina Faso

Appena varcato l’ingresso, la prima cosa che colpisce è il suono delle centinaia di piccoli mortai, utilizzati per sminuzzare il granito. Un tintinnio costante, che copre ogni altro rumore. Subito dopo arriva l’odore acre degli pneumatici bruciati, che rende l’aria quasi irrespirabile. E la polvere. Un mondo a parte, fatto di pietre, fatica e sudore. Questa è la cava di granito di Pissy, ubicata a pochi minuti dal centro di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Si tratta di una miniera a cielo aperto, dove lavorano più di tremila persone, tra di esse soprattutto donne e molti bambini. La cava è vicina al centro abitato e per questo motivo non è possibile utilizzare esplosivi: tutto il lavoro è svolto esclusivamente a mano, dall’estrazione del granito alla riduzione in pietre di varie dimensioni. L’estrazione dei blocchi viene facilitata dalla combustione di materiale plastico che crea micro fratture all’interno della roccia. 

Qui si lavora in condizioni estreme, senza alcuna norma di sicurezza. Sottoposti alla fatica, al calore (la temperatura nella stagione secca può raggiungere i cinquanta gradi) e all’aria contaminata dalla diossina prodotta dalla combustione degli pneumatici, i lavoratori trascorrono le loro giornate in un ambiente ostile. La giornata di lavoro è durissima, può arrivare fino a dodici ore, e il guadagno dipende dalla quantità di pietra estratta o lavorata. Se è stata una buona giornata, si può arrivare a prendere poco più di euro. Quello che potrebbe essere descritto come un girone infernale, in cui un blocco di granito viene estratto e trasformato in polvere senza l’ausilio di alcun macchinario, rappresenta per molti l’unica via per la sopravvivenza. 

Una donna cammina tra mucchi di pietre e piccole baracche | Ilaria Lazzarini, ©2021

Nella cava non ci sono zone d’ombra e l’unico riparo è rappresentato da piccole baracche, costruite con materiali di fortuna, che diventano rifugio e luogo di lavoro. Accanto ai mortai ci sono piatti, pentole e qualche bottiglia. Alcuni bambini lavorano come venditori ambulanti di bibite e cibo, e con i loro carretti passano la giornata percorrendo le vie polverose di questa miniera a cielo aperto. In un avanti e indietro incessante, le donne, con il viso segnato da rivoli di sudore, portano blocchi di granito dal cratere della cava verso la superficie. Il trasporto del materiale è pericoloso ed è difficile percorrere questi sentieri ripidi e tortuosi, quando si deve mantenere in equilibrio un carico di non meno di cinquanta chili. La fatica e la rassegnazione sembrano essere gli elementi che caratterizzano la vita di queste persone. 

Nella cava c’è una precisa gerarchia. L’organizzazione del lavoro e il commercio delle grandi quantità di granito sono gestiti esclusivamente dagli uomini. Sono loro, inoltre, che controllano la produzione e che decidono chi può entrare nella cava. Le donne, oltre al trasporto dei materiali, si occupano dello sminuzzamento delle pietre e, al tempo stesso, dei figli. Come la ragazza che lavora al mortaio insieme al suo bambino. Il suo sorriso non è offuscato dalla polvere che la avvolge quasi completamente e che rende grigie le sue ciglia e le sue narici. Un’immagine di grazia e bellezza che contrasta con le reali conseguenze a cui può portare l’esposizione continua alle polveri del granito. Problemi respiratori e infezioni polmonari sono tra le malattie più diffuse. 

Un bambino di meno di dieci anni trasporta una grande pietra sulla testa e cammina scalzo sotto il sole. Come gli adulti sopporta in silenzio la polvere e il calore e nel suo sguardo c’è tutto quello che significa un’infanzia perduta. Proprio per contrastare il lavoro minorile, all’entrata della miniera campeggia un grande cartello dove si legge che il lavoro nella cava è pericoloso per i bambini, che invece dovrebbero andare a scuola. La realtà purtroppo è molto diversa. In Burkina Faso, nonostante i progetti volti a eliminare il lavoro minorile, migliaia di bambini sono ancora impiegati nelle miniere, cercando di sostenere sé stessi e le loro famiglie. La cava di Pissy non è un’eccezione. 

Il cratere della cava di Pissy | Ilaria Lazzarini, ©2021

Il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri al mondo. Con un Indice di Sviluppo Umano di 0.452 si colloca al 182° posto su 189 paesi*. Secondo uno studio del 2010 realizzato da UNICEF** e dal governo del Burkina Faso, circa 20mila bambini venivano utilizzati nelle miniere artigianali, e oltre l’80% non erano mai stati a scuola. Nel 2018, in base ai dati dell’ILAB (Bureau of International Labor Affairs)***, il Burkina Faso ha compiuto un moderato progresso nel tentativo di eliminare il lavoro minorile. Il governo ha infatti allontanato più di duemila bambini dai siti minerari, per affidarli alle cure dei servizi sociali. Tuttavia rimane ancora parecchio da fare. Molti bambini continuano ad accompagnare le loro madri al lavoro fin da piccolissimi e quando sono un po’ più grandi e in grado di sopportare carichi più pesanti, iniziano a lavorare. La miniera rappresenta per molti di loro l’unico futuro possibile.

Fonte dei dati
*Human Development Report 2020 UNDP | http://hdr.undp.org/sites/all/themes/hdr_theme/country-notes/BFA.pdf
**UNICEF | https://www.unicef.org/appeals/burkina-faso
***ILAB | https://www.ecoi.net/en/file/local/2017702/Burkina+Faso.pdf

Testo e Foto:  Ilaria Lazzarini
Testo originale in Italiano - Traduzione interna
Burkina Faso
Pissy, Ouagadougou, Burkina Faso
DooG's Autore
Ilaria Lazzarini
Italia
Photographer

© Portfolio - Pissy, the Devil’s Hole

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