“Ho appoggiato la mano sulla spessa pelle di un elefante convinto di sentirne il ruvido ma, tra gli spessi peli che la ricoprivano senza continuità, ne ho colto solo il morbido. Ho percepito il calore del suo corpo guardando la mia mano muoversi al ritmo del suo respiro calmo.
Inebriato da quella sensazione mi sono trovato rapito nelle profonde rughe di quella morbida e spessa pelle, fissandole come fossero sentieri, e fiumi, e percorsi disegnati su una mappa antica in grado di svelare i misteri di un mondo di cui, io, ero solo un visitatore inatteso, seppur tollerato.
Cosa avrà pensato, lei, vedendomi?
Un pallido uomo in soggezione anche solo a guardarla dritta negli occhi – profondi abissi tanto scuri quanto immensi ma al tempo stesso rassicuranti – maldestro nel muoversi ai bordi della sua giungla, attento a non scivolare con i piedi di fango, dello stesso colore della pelle del suo amato mahut. Cosa avrà pensato, lei, quando, attenta, ha seguito la mia mano con quell’occhio profondo?
Avrà colto il mio battito accelerato? Avrà capito che, in quell’istante, mi stavo perdendo nelle sue rughe?”
La giungla del Mondulkiri
Il sud-est della Cambogia, molto lontano dai magnifici templi lascito dell’Impero Khmer e oggi meta di pacchetti vacanza, è una immensa regione di alture e medie montagne per lo più selvagge, colorata di un verde dalle molte sfumature, ricca di possenti cascate, dimora di una incredibile varietà di animali, vegetali, e diversità umana. Il Mondulkiri – che in lingua khmer significa: il Centro delle Montagne – oltre a segnare un confine naturale con il Laos e il Vietnam è anche la regione più orientale, selvaggia e meno densamente popolata della Cambogia. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso fu una terra martoriata a causa del traffico di armi dal nord al sud del Vietnam. Ancora oggi alcune zone di questa giungla risultano No trepassing per la grande quantità di mine e bombe inesplose. Rappresentando, di fatto, una drammatica questione ambientale per gli abitanti delle foreste che, non troppo sporadicamente, si trovano coinvolti in esplosioni e mutilazioni. Nel migliore dei casi.
Nella giungla e nelle foreste che ricoprono le remote alture del Mondulkiri abitano diverse etnie tra cui i Bunong – conosciuti anche come Pnong – un popolo animista che da oltre duemila anni vive in simbiosi con la natura e con gli spiriti della giungla. I Bunong seguono un codice di comportamento incentrato sul rispetto delle risorse che questa terra concede loro. Sono i custodi di un’antica tradizione che permette loro di accudire gli elefanti, considerati qui membri della comunità a tutti gli effetti. I Bunong plasmano il proprio vivere e il ritmo della loro esistenza sulla salvaguardia di questi straordinari animali.
I mahut – che in hindi significa “chi cavalca l’elefante” – ne sono i guardiani e custodi. Per tutta la loro vita si prendono cura di loro, passando il compito di generazione in generazione al proprio figlio, fratello, nipote, fino alla conclusione del ciclo di vita dell’elefante che, di fatto, è considerato un componente di questa famiglia allargata dallo scorrere del tempo.
“Giunto a Sen Monorom, la principale cittadina del Mondulkiri, dopo un viaggio di molte ore e poco confort, una delle cose più complicate è stato proprio entrare in contatto con i Bunong. Dopo una sosta di rito nella locale stazione di polizia dove senza troppe cortesie ci viene negata la loro collaborazione, decido di tentare la sorte tra i driver dei molti tuk tuk presenti, sperando di recuperare un contatto locale che ci possa introdurre a un villaggio nella foresta.“
Un futuro da preservare
Negli ultimi vent’anni si è diffusa la pratica del land grabbing, ovvero la vendita da parte di privati o enti governativi di grandi lotti di foresta, ceduti ad aziende straniere in cambio di denaro, e destinate allo sfruttamento. Fortunatamente in anni recenti si è presa coscienza di questo problema e si sta cercando di arginarlo, trovando un sistema di sviluppo sostenibile per chi abita quest’area. Una delle (timide) azioni del governo centrale è stata quella di considerare i Bunong “etnia protetta” e il lavoro da loro svolto nei confronti degli elefanti come “interesse nazionale”.
Se da un lato è servita a ridurre l’impatto del land grabbing di inizio secolo, questa decisione del governo ha di fatto aperto le porte a molti progetti stranieri per la salvaguardia e la protezione dei villaggi bunong – e degli elefanti. Purtroppo non tutti positivi. Per recuperare i fondi necessari al sostentamento delle infrastrutture operative, molti di questi si sono trasformati in agenzie turistiche divenendo, in realtà, dei veri e propri tour operator per turisti facoltosi.
Nel centro di Sen Monorom incontriamo Cham, un ragazzo khmer con un buon inglese, un ottimo francese e qualche canzone italiana nella testa. Ci racconta la storia di Nol, suo amico d’infanzia, un mahut che con la sua famiglia accudisce gli elefanti nella foresta. Chan e Nol sono cresciuti insieme ma parlano due dialetti diversi: uno il khmer, l’altro il bunong. Il loro dialogare, formatosi nel tempo, è un intreccio di lingue diverse.
Con il suo tuk tuk, Chan esce dal centro abitato per immettersi sulla strada principale e, dopo svariati chilometri, tagliare di netto verso uno sterrato fangoso, verso la foresta.
La casa di Nol è di legno, semplice e molto spartana, sembra brillare grazie al riflesso della terra rossa circostante e la pioggia incessante. È una situazione calma dove il rumore della pioggia sulle assi di legno accompagna la scena come fosse una colonna sonora.
Ci mettiamo in marcia in direzione della foresta verde smeraldo. Sopra le nostre teste si intravedono alcune aquile sorvolare la giungla, quasi a volerla proteggere. Non si sentono rumori, solo la pioggia che solca la strada e rende il nostro cammino incerto sulle deboli suole dei miei sandali.
Dopo un tempo indefinito Nol scompare dentro il fitto della foresta. Chan ci dice di attendere senza fare rumore. Ci dice anche che sono gli elefanti a decidere chi può incontrarli. Non è affatto scontato che si lascino avvicinare da estranei, tantomeno toccare. Passa un tempo senza tempo e dal cuore della foresta arriva. Avanza lenta tra le fronde degli alberi guidato dal suo mahut in un silenzio quasi liturgico. La foresta li accoglie ed è testimone della loro muta intesa. Qualche suono dalla bocca di Nol è il dialogo con Kropun, una giovane elefantessa di 38 anni che la famiglia di Nol accudisce da sempre.
Kropun c’era già quando lui nasceva e con lui trascorrerà tutta la vita. E sarà ancora con lui quando lo vedrà andar via nella terra degli spiriti dei bunong. Kropun continuerà a vivere, accudita dal figlio di Nol, fino a quando lei stessa deciderà di addormentarsi nella Foresta degli Immortali, nel Mondulkiri, in Cambogia.