Il viaggio ci concede di intrufolarci in quel vano nascosto, di accedere a un pensiero inatteso.
Il viaggio ci porta allo spaesamento, alla scoperta.
Mi trovo a Can Tho, nella città più grande del Delta del Mekong. Più precisamente mi sto muovendo sull’acqua di una delle nove diramazioni principali del grande fiume, i cosiddetti “Nove Dragoni”.
Il Mekong riesce ad essere imponente e placido allo stesso tempo, a ogni sua curva.
Sono circa le 10 del mattino, e ho come l’impressione che in questo luogo qualcosa sia già accaduto.
Qui ogni mattina all’alba si svolge il mercato di Cai Rang, rimasto a oggi il più grande e attivo della regione. Intorno a me le tradizionali barche fluviali con i loro occhi dipinti a prua, poi le navi da commercio più grandi, alcune naviganti, altre ferme, cariche e “immerse” nel fiume.
Osservo l’acqua, le barche dei venditori, i volti delle persone.
Il viaggio che sancisce e svela i contrasti. Il bello che spesso non coincide con l’autentico, l’armonia e le contraddizioni tra ambiente ed essere umano. Decido di fare un piccolo gioco e inizio a sbirciare dentro ogni finestra per portarmi a casa un pezzetto del quotidiano degli abitanti del fiume, per immedesimarmi in quella che può essere la loro vita in questo luogo.
Un ragazzo sulla sua barca, concluso il mercato, ha sistemato la merce avanzata, ha ripulito con cura le travi di legno del suo pavimento e ha preparato frutta fresca per la sua famiglia.
Ma ora quel ragazzo, per prendere un respiro dal lavoro, sta giocando al mio stesso gioco, e si affaccia sul fiume. I nostri sguardi si incontrano, e percepisco subito una connessione.
Mi chiedo quanta vita sia passata in questa porzione di canale, quante storie si siano mescolate dentro queste acque, quanti scambi di frutta e verdura, e quanti altri incroci di sguardi.
Mi chiedo, infine, come quel ragazzo veda il mondo da lì, da quella fessura, che per me, in fondo, non è altro che una finestra sull’infinito.
