Capobranco, una storia di abnegazione

Una missione d'amore e di cura che durerà almeno fino a quando anche l’ultimo membro della famiglia che Salvatore ha scelto per sé non lo lascerà

di Alessandro Mirai, Ester Sanna
Uno dei locali dei capannoni. Salvatore ricorda spesso come quei locali prima fossero pieni di macchinari per la lavorazione dei surgelati - ©Alessandro Mirai

È la storia nascosta di una vita di abnegazione e dedizione
un uomo di 70 anni che da 30 ha fatto dei cani randagi
la sua famiglia di fatto

Porto Torres, Sassari

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Si stima che ogni anno in Italia siano abbandonati una media di 50.000 cani portando tra 500 e 700 mila il numero di randagi a oggi nel paese. Addomesticato a proprio uso, consumo, sevizio e diletto, il cosiddetto miglior amico dell’uomo viene rispedito al mittente – nel migliore dei casi un canile, nel peggiore la strada – spesso per mancanza di tempo, risorse o per opportunità, spazi, condizioni che cambiano ma anche per aspettative disattese dall’animale sia esso di compagnia o di servizio. 

La gestione del randagismo è un problema diffuso e preoccupante, con la maggior parte dei rifugi sovraffollati e affidati a risorse limitate. Ogni cane costa alle casse pubbliche italiane 3,5 euro al giorno, per un totale nazionale di 385 mila euro, cioè 126 milioni di euro annui, calcolati per il 2018. Ulteriori aggravanti delle difficoltà finanziarie sono la scarsa attenzione delle autorità locali ma anche la mancanza di una cultura di cura e protezione degli animali, a cui in parte sopperiscono la dedizione e l’impegno delle diverse associazioni di volontariato.

A quelli a cui non è concesso neanche il lusso di un canile non resta che sperare di non far parte di quegli 8 su 10 che non sopravvivono a freddo, fame, malattie e pericoli della strada. Tra i rischi più noti, lezione degli antichi cacciatori, si trovano i bocconi al veleno, disseminati in parchi, giardini o altri luoghi pubblici, usati per arginare il randagismo: cocktail letali di ingredienti facilmente reperibili in commercio mescolati a carne, lardo o altre profumate trappole. Per quanto i dati o le loro interpretazioni possano impartire una lezione, sarebbe comunque pretenzioso comprendere il fenomeno appieno e nel suo complesso. Fuori dalle istituzioni o anche fuori dall’associazionismo più organizzato si scopre invece una risposta diversa all’abbandono, inosservata e forse incompresa: un abbandono del se, o un’altra meno comune forma di amore.

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Salvatore, il Capobranco – Alessandro Mirai, ©2025
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Uno dei locali dei capannoni utilizzato come rifugio. Salvatore ricorda spesso come quei locali prima fossero pieni di macchinari per la lavorazione dei surgelati – ©Alessandro Mirai
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La sera può fare molto freddo all’interno dei locali. Salvatore ogni sera copre tutti gli animali per proteggerli. Non essendo una persona che dorme molto, durante la notte passa più volte a controllare come stanno – ©Alessandro Mirai

Un surrogato di famiglia

Questa è la storia nascosta di una vita di abnegazione e dedizione di Salvatore, come lo chiameremo, un uomo di 70 anni che da 30 ha fatto dei cani randagi la sua famiglia di fatto, offrendo un servizio, nascosto e senza referenze, alla sua cittadina di porto nel nord della Sardegna. Per buona parte della sua vita la sua storia rispecchia quella di molti altri: una moglie, dei figli, un lavoro da magazziniere in una azienda di surgelati di una vecchia zona industriale. Ma la sua causa, forse il suo destino, andava oltre i legami e i doveri umani. Iniziò a prendersi cura dei cani randagi della zona, creando per loro uno spazio, un rifugio, un surrogato di famiglia, fino a diventare un ufficioso sportello di accoglienza alternativo alla strada, zerbino delle coscienze di chi, pur sbarazzandosi del cane, lo sapeva affidato alla coscienza di qualcun altro. 

Il suo branco arrivò a raggiungere un numero quasi inconcepibile, raccogliendo più di un centinaio di cani abbandonati, fino a che una vita con una propria casa e una famiglia comuni non furono più conciliabili con la sua dedizione. 

Le sue cure e il suo impegno non bastarono ad arginare le preoccupazioni della gente del luogo. Dovendo assistere a ripetuti avvelenamenti, incidenti e altri epiloghi atroci, a Salvatore non rimase altro se non rifugiarsi con il suo branco, fuori dagli sguardi e dalle responsabilità della cittadinanza. Da quel momento Salvatore e la sua famiglia non convenzionale abitano i capannoni svuotati dal fallimento del grande sogno industriale, almeno oggi utili a un nuovo scopo. Dal suo trasferimento sono passati ormai più di 10 anni, quanti sono gli anni del più giovane dei suoi cani con cui Salvatore è invecchiato imparando nuovi mestieri e capacità, per dedizione e per necessità, amministrando la sua pensione come principale e unica fonte di finanziamento, accompagnata da occasionali donazioni di cibo. 

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Morta a causa di un tumore alla bocca, Lolita aveva 14 anni. Il veterinario disse che sarebbe durata solo pochi mesi, ma con le cure di Salvatore e con la sua perseveranza nel nutrirla, sopravvisse per un altro anno e mezzo -©Alessandro Mirai

Fino all’ultimo respiro

Il suo lavoro quotidiano è incessante, scandito dalla raccolta e selezione degli scarti di macellerie e panifici, alla preparazione dei pasti, alle meticolose pulizie degli spazi, fino alla consulta regolare con i suoi veterinari di fiducia, per i giornalieri check up completi e terapie specifiche per ognuno dei cani, che non manca mai di adempiere. Li accompagna fino alla fine i suoi compagni di vita, di cui racconta storie e personalità chiamando ognuno con il suo nome.  

La dedizione porta intrinsecamente un sacrificio, aspirazione di molti ma scelta di pochi. Salvatore rientra in quei pochi, scegliendo di abbandonare il suo ego per il bene del suo branco, oggi composto da poco meno di 30 cani. Una scelta che continua a compiere ogni giorno e, come un capitano per la sua nave, Salvatore racconta che non verrà meno alla sua missione almeno fino a quando anche l’ultimo membro della famiglia che ha scelto per sé non lo lascerà.

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Baldo, uno dei cani più vecchi e docili. Morto anche lui a causa di un tumore al retto – ©Alessandro Mirai
Testo:  Ester Sanna
Fotografia:  Alessandro Mirai
Testo originale in Italiano - Traduzione interna

© Portfolio - Capobranco, una storia di abnegazione

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