29 gennaio 2025 – Il tramonto sobbalza su e giù per il vetro della jeep che corre in discesa sull’erba fine e gialla che pare contraddistinguere la Terra del Fuoco. C’è una qualche musica di folclore argentino alla radio, e Pili balla con il mate in mano. Stiamo tornando da una specie di casa con le ruote parcheggiata nel mezzo dell’Estancia, a qualche chilometro dalla casa grande, utilizzata un tempo dai mandriani durante gli spostamenti delle mucche. Avevamo portato una torta al cioccolato con dulce de leche e banana, qualche mela, dei panini al formaggio e un paio di macchine fotografiche, di cui una analogica, per catturare un pizzico di questa luce in mezzo ai campi e portarla lontano.
Mentre torniamo verso casa, verso la mia ultima sera qui, penso che è veramente una strana coincidenza il fatto che io mi sia trovata a vivere una serata come questa, con altre dieci persone che indossano la boina, il cappello tipico dei gauchos, figli dei proprietari di queste terre o ragazzi di Buenos Aires che vengono a lavorare per l’estate. Sono qui da una settimana ma sono entrata in una routine che potrebbe durare anche molto più a lungo; le mie frittate di pasta piacciono a tutti e mi sto abituando a svegliarmi presto, raccogliere verdure o lavarle e impacchettarle, o fare i lavori che servono in questa azienda/cantiere che si muove come un formicaio.
A cena stavo parlando con Ines, raccontando che l’indomani sarei partita alla volta del Nord, e che dovevo raggiungere Santiago più in fretta possibile per incontrarmi con Luisa che arrivava dall’Italia. Lei ha alzato un attimo gli occhi come se le fosse venuta un’idea, e poi mi ha detto: “ma i miei partono in questi giorni e vanno verso Nord in macchina, di sicuro ti possono portare!” Prima di realizzare che mi avrebbero davvero dato un passaggio per più di metà strada, cioè 2000 chilometri, mi sono venute le lacrime agli occhi: pare che il mondo si muova e si riorganizzi come i pezzi di un puzzle per risolvere i problemi che mi si parano di fronte. Succede continuamente, non capisco come è possibile. Appena apro bocca, anche senza chiederla, arriva una soluzione, una casa dove stare, una macchina su cui salire.
Passano due giorni e sono strizzata nei sedili posteriori nella macchina dei coniugi, insieme ai due figli, di cui uno lavora online e ha un armamentario di cavi e batterie per far funzionare internet nel bel mezzo della pampa che attraversiamo per 24 ore. E’ un’immersione in una vita familiare di bisticci e affettuose battutine, e le mie ginocchia tirano e tirano per il continuo stare piegate. Le ore sul navigatore diventano sempre di meno e a un certo punto arriviamo al punto in cui ci dobbiamo separare: io riprendo il mio zaino e la mia strada, e loro stanno finalmente un po’ più larghi. E’ il tramonto, e mi domando cosa mi riserverà la sorte a questo punto: la mia più rosea speranza è avanzare 5 chilometri fino al prossimo paesino e dormire una lunga notte con le gambe stese dopo infinite ore di macchina.
La seconda auto che passa sorride e accosta: è Lorena, maestra di sostegno e pescatrice argentina che si gode le ferie estive viaggiando per il suo gigantesco Paese. Facciamo subito comunella, un’altra oretta di strada e ci fermiamo a dormire sul lungofiume ai margini di una cittadina piuttosto viva. Dividiamo un enorme hamburger con patatine fritte e ci disponiamo per la notte: lei ha il letto montato in macchina, io pianto la tenda praticamente in un’aiuola, ma sono così stanca che non mi accorgo neanche dei rumori dei camion che passano sulla strada a dieci metri di distanza.
Sveglia alle 7, Lorena mi fa il caffè e mi addormento sul sedile del passeggero per un altro paio d’ore. Poi mi lascia a Bariloche, da cui un altro paio di passaggi e tre ore di attesa alla frontiera mi porteranno nell’agognato Cile. A questo punto sono le 16.30 del pomeriggio: prendo un pezzo di cartone e ci scrivo ‘Santiago’, ma mancano ancora quasi 1000 chilometri. Sono sulla corsia di accelerazione della Panamericana e vedo un camion accostare, 200 metri più avanti: mi avvicino e gli chiedo se si è fermato per me. “No, dovevo controllare una ruota, ma ormai ci sono, dove vuoi andare?” E giù altre cinque ore verso Nord. Alle 10 di sera mi lascia in una stazione di servizio che dice essere sicura per passare la notte: ci sono videocamere 24 ore su 24, un guardiano e tutte le comodità del caso.
Sto giusto chiedendo qualche informazione alla signora del fast food, spiegandole che voglio rimanere vicino all’autostrada perchè ho fretta di arrivare a Santiago la mattina dopo, quando un panciuto camionista in infradito che si sta mangiando un panino lì accanto mi dice che lui sta andando proprio lì. “Parte domattina?” No, proprio adesso. Cosa dicevo poco fa a proposito di problemi formulati a voce alta e delle relative soluzioni?
Ci penso una, forse due volte e poi gli dico che ci sto, con buona pace delle mie ginocchia. Si chiama Luis, dice che gli piace guidare di notte, mi offre la connessione internet del suo telefono e anche la colazione. Mi mostra le foto dei figli, due fanno i carabinieri e una sta studiando, la moglie è morta e quindi questo lavoro che lo porta lontano da casa per lunghe settimane è perfetto per lui. Ogni tanto mentre guida guarda i video su TikTok, ma quando faccio per mettermi la cintura dice di essere un autista professionista, quindi non mi preoccupo troppo. Me la dormo praticamente tutta la notte, e in mattinata mi lascia al terminal dei bus appena fuori città. Si tiene il mio cartello ‘Santiago’ per ricordo, visto che ormai non mi serve più.
I più longevi lettori ricorderanno che nella puntata zero di questa newsletter ho scritto che il mondo è pieno di persone di cui ci si può fidare. Di sicuro è vero anche il contrario, e due domande me le sono fatte quando sono scesa dal camion per andare in bagno lasciando a bordo tutto quello che ho, o quando tre mesi fa a Santo Domingo ho chiesto alla commessa di un negozio della Puma se poteva guardarmi lo zaino per un paio d’ore mentre facevo un giro in centro. Ma ogni volta mi rispondo che questo viaggio è basato interamente sulla fiducia negli altri, e che se avessi ascoltato tutti quelli che mi hanno detto che era pericoloso, che mi avrebbero derubato e che non mi dovevo fidare, forse non sarei ancora uscita dal primo aeroporto.