Ci sono spesso contesti difficili, che il più delle volte si rivelano complessi da comprendere, in cui nulla si può fare se non porsi delle domande senza aspettarsi una risposta. Ci sono spesso situazioni dolorose, così dolorose, che talvolta è necessario accettarle, e viverle fino in fondo affrontandone la sofferenza che ne deriva.
Questi e altri pensieri si riaccendono in me ogni qualvolta mi addentro in un Wet Market, in Asia. Mercati in cui gli animali, nella maggior parte dei casi volatili e pollame, vengono macellati, e la loro carne viene presentata su un banco pronta per essere venduta, in un’atmosfera contraddistinta da una controversa normalità che non riesco a comprendere e, al contempo, non mi è dato giudicare.
Se da un lato infatti i Wet Market sono luoghi dove si consumano atrocità nei confronti degli animali, restano un segno tangibile della cultura locale, dove la gente del posto compra cibo a prezzi accessibili, oppure va semplicemente a fare una passeggiata e incontra i vicini per fare due chiacchiere e vivere la vita di comunità.
Camminando tra i banchetti dove viene esposta carne macellata sul momento, l’odore di morte pervade le narici ed entra nelle viscere. Si tratta di una sensazione che solo la Natura, in tutte le sue infinite forme, sa restituire in risposta a come noi, essere umani, decidiamo di interagirvi. Eppure, nonostante l’impattante violenza, non è percepibile cattiveria fine a sé stessa. Piuttosto, una visione della vita e della morte differente, che viene riservata solo ad alcuni prescelti. Oche, galline e qualsiasi altro genere di volatile da allevamento vengono portati in questi luoghi, in cui diventano spettatori della loro morte, nell’attesa che tutto finisca il prima possibile.
