Un guscio di noce.
Questa la dimensione della minuscola imbarcazione a vela con cui ho deciso di affrontare il Canale Beagle, a Ushuaia, la fin del Mundo.
Quattro passeggeri più uno skipper-narratore. Questo era tutto l’equipaggio della Santa Maria. Indossiamo la cerata gialla, una taglia troppo grande anche per una persona alta due metri. E subito mi immagino un passato da cacciatore di mare, pronto alla lotta quotidiana con le scure onde di queste parti. Perché qui il mare è nero petrolio, un blu profondo e gelido. Ce lo conferma anche il nostro giovane skipper: “Se cadete in acqua, avrete circa 4 minuti prima di morire assiderati“. Come non pensare a Jack su quella tavola di legno mentre il Titanic affonda maestosamente alle sue spalle.
Un’esperienza unica, un’emozione indelebile: essere alla fine del mondo (e lo percepisci proprio che lì davanti, poi, non c’è più nulla), su un guscio di noce che arranca tra nuvole e onde che giocano a poker.
I tour, qui a Ushuaia − la città più australe del mondo − sono tantissimi. C’è solo da decidere il percorso, il mezzo e il budget.
Si può andare alla Pingüinera e passare un paio d’ore circondati dai pinguini; oppure visitare il Parque Nacional Tierra del Fuego. O ancora arrivare al faro conosciuto come Fin del Mundo nel canale Beagle o alla Isla de Los Lobos, l’isola dei leoni marini.
Ushuaia
Ushuaia non ha più nulla di quell’avamposto che la mia immaginazione custodiva nell’ignoranza. Lo percepisci fin dall’arrivo in aeroporto: un edificio completamente in legno che sembra più scandinavo che argentino. E già il fatto che ci si arrivi con un volo di linea, poteva esser un indizio. Anche le case non sono più quelle di un tempo: popolate da turisti, nascondono ogni comodità della nostra epoca.
Nonostante questo − o proprio per questo − Ushuaia è un posto da visitare.
Per la bellezza della natura.
Per la contaminazione umana che evolve e non si ferma mai.
Per quella sensazione, forte e precisa, di esser davvero alla fine del mondo.