Quando sono arrivata a Kouini, un piccolo villaggio del nord est del Burkina Faso introvabile sulle mappe, non sapevo bene cosa aspettarmi. Avevo letto, studiato, chiesto ai miei compagni di viaggio, ma era la mia prima esperienza in Africa e il mio viaggio iniziava con una buona dose di incertezza.
Già in quel momento, era il 2015, la sicurezza dell’aerea non era completamente garantita a causa di alcuni sequestri avvenuti quell’anno nel nord del paese. Per questo motivo era impossibile spostarsi in Mali o andare a visitare le meravigliose moschee di sabbia che si trovano vicino alla frontiera tra i due paesi, nel deserto del Sahel. Così sono rimasta per due settimane nel villaggio, ospite dell’associazione Centro Sviluppo Umano (CESVIUM), che opera in Burkina Faso da oltre 30 anni. In quei giorni ho deciso che avrei documentato la vita di Kouini, senza andare in cerca di storie eccezionali, ma semplicemente osservando quello che succedeva intorno a me. Quasi subito ho capito che il carico di lavoro quotidiano ricadeva per lo più sulle spalle delle donne e che quindi avrei passato la maggior parte del mio tempo con loro.
Erano infatti le donne a uscire per prime dalle loro capanne, quando il villaggio era ancora avvolto dall’oscurità. L’unico suono che si poteva sentire in quel momento di buio assoluto era infatti quello dei mortai: le donne avevano iniziato a pestare il miglio. In seguito, al primo albeggiare, i bambini, qualche volta accompagnati dalle mamme o dalle sorelle più grandi, potevano andare a prendere l’acqua al pozzo, indispensabile per preparare il il Tô, una sorta di “polenta di miglio” che rappresenta la base dell’alimentazione delle popolazioni rurali del Burkina Faso.
Ma le attività di preparazione del cibo e la cura della famiglia, non erano le uniche affidate alle donne. Oltre al compito di macinazione dei chicchi di miglio, attività che normalmente richiedeva moltissimo tempo, le donne coltivavano la poca frutta e verdura prodotta negli orti di casa o raccolta nei dintorni. Spesso lavoravano anche nei campi, tanto che in Burkina Faso, come in altre regioni dell’Africa subsahariana, si può parlare di “femminilizzazione dell’agricoltura”, riferendosi alla crescente presenza di donne nella produzione agricola e alla diminuzione del numero di uomini che lavorano nel settore. Una delle cause principali di questo fenomeno è l’esodo della popolazione maschile rurale verso le aree urbane o minerarie, alla ricerca di migliori opportunità di generazione di reddito.
A Kouini ogni giorno scorreva uguale, le donne si prendevano cura dei bambini e nel frattempo lavoravano duramente; il villaggio non sarebbe sopravvissuto senza di loro.
Io non ho mai smesso di sorprendermi per la forza di queste donne e di ringraziarle per la loro accoglienza tutte le volte che mi hanno permesso di entrare nelle loro case e quindi nelle loro vite. Quando sono andata via, speravo di tornare presto, ma finora non è stato possibile. Oggi, dopo un periodo molto difficile, in cui a causa dei continui attacchi terroristici avvenuti nelle vicinanze di Kouini molte persone si erano trovate costrette ad abbandonare il villaggio, la situazione è migliorata. Le famiglie sfollate sono tornate alle loro case di fango, le scuole hanno riaperto e si è tornati a quel fragile equilibrio descritto da Kapuściński e che caratterizza molte aree di questo continente complicato, ma incredibilmente affascinante.