Una etichetta non risolve il problema

Viaggiare ha trasformato la mia visione infantile del cibo, rivelando profonde disuguaglianze globali e insegnandomi che il nostro consumo ha un costo ben più alto della nostra consapevolezza

di Gabriele Orlini
kitchen
Comedor Comun, Rosario (Argentina) - ©Gabriele Orlini, 2023

...la gente,  molto spesso, non arriva a fine giornata con un piatto da lavare...

Provincia di Salta, Argentina

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Da bimbo odiavo la verdura. E sopra ogni cosa la cicoria e la rapa. Ma sopportavo gli spinaci perché mia nonna li cucinava con il burro e perché volevo diventare forte come Braccio di Ferro. Pure le minestre in genere le sopportavo male. Ma mia madre – che della cucina conosceva quanto sufficiente a nutrire quattro figli e un marito – giocava spesso la carta: “pensa ai bambini in Africa”, sopratutto in quelle zuppe che io ritenevo troppo liquide e poco interessanti.

In quegli anni, noi ragazzini, non eravamo molto svegli come (forse) le generazioni di oggi e non ci permettevamo di ribattere. Ma, tutto sommato, continuavamo a pensare che al bimbo in Africa poco fregava se avessimo mangiato la minestra o meno. Ma tant’è: si mangiava ciò che c’era nel piatto e non ci si alzava da tavola se tutti non avevano concluso il pasto.

Poi il tempo passa, i gusti cambiano, le coscenze si formano. Da pirla che eravamo – e forse lo siamo ancora – abbiamo contribuito nel costruire una società basata sul consumo. E la “minestra troppo liquida” che mal sopportavamo, l’abbiamo giustificata creando correnti filosofiche – o prendendo in prestito religioni esotiche a noi comode – con nomi semplici quanto categorici: veganismo, crudismo, fruttarismo, e via avanti fin dove la fantasia trova terreno.

Mi hanno cresciuto con molte certezze e qualche valore – credo si possa definire educazione, ma non vorrei sbagliare – e per molto tempo la cicoria mi è rimasta amara, le rape puzzavano, le minestre troppo liquide erano ancora noiose. Poi, ho cominciato a viaggiare. E il mio piccolo e comodo mondo costruito sulle molte certezze e qualche valore ha iniziato a vacillare. Tra le cose che ho avuto modo di conoscere – alcune volte con la fortuna di poterle comprendere – è che la gente, molto spesso, non arriva a fine giornata con un piatto da lavare alla sera.

Ai bambini in Africa continuerà a non fregare nulla se non finiremo il piatto che abbiamo davanti. Ma la coscienza del nostro bel mondo comodo, della società che tutte le nostre generazioni hanno contribuito nel costruire – ci deve portare, ad un certo punto, a comprendere che tutto ha un prezzo e la che Cassa… si trova in fondo.
Lì, nel fondo di quel tunnel ricco di persone che hanno il coraggio di raccontare: …ma lo sai che esiste un mondo dove la gente lascia il cibo nel piatto? Forse un giorno arriverà anche a te.

Esiste un mondo. Basta andarlo a cercare. E non ha etichette fantasiose.

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Abitanti nella discarica nei dintorni di Salta (Argentina) – ©Gabriele Orlini, 2023
Testo e Foto:  Gabriele Orlini
Testo originale in Italiano - Traduzione interna
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