L’Argentina è uno di quei Paesi che ha enormi difficoltà a fare i conti con il proprio passato e perciò ha le medesime difficoltà a liberarsi dei suoi fantasmi, guardare avanti e crescere.
Mi sono avvicinato a Buenos Aires avendo in mente i nomi delle strade e le immagini evocate dalle pagine di letteratura e di cronaca che avevo letto nel corso degli anni. Tra le tante suggestioni, forse le più presenti erano il girovagare per la città di Horacio Oliveira, protagonista di “Rayuela” di Julio Cortazar, e le atmosfere cupe ma piene di speranza riportate da Enrico Calamai, eroico console italiano nella capitale argentina e in Cile, che in “Niente asilo politico” e “Faremo l’America” testimonia il suo impegno nel mettere in salvo i rifugiati politici durante gli anni della dittatura.
Il reportage che ho realizzato ad agosto 2010, durante i giorni in cui imperversava la terribile tormenta di Santa Rosa, testimonia con assoluta attualità la malinconia e le ferite di un Paese che continua a rivivere il suo passato e i suoi errori.
Eravamo, allora come oggi, a ridosso di una crisi economica e finanziaria che teneva sotto scacco grossa parte della popolazione argentina, una popolazione ancora alle prese con i fantasmi delle grandi tragedie degli anni 70 e 80: la dittatura, i desaparecidos, la guerra delle Malvinas-Falklands, e l’instabilità politica e finanziaria.
Tragedie e difficoltà testimoniate instancabilmente in Plaza de Mayo dalle madri, nonne e padri dei desaparecidos, dai reduci della guerra delle Malvinas, e in Plaza Lavalle dai pensionati in protesta.