Africa è radici.
Avvicinarsi alla realtà spirituale di un popolo è molto difficile, perché è come chiedere di poter guardare dentro a qualcosa di intimo, riservato a chi, quel Credo, lo vive e lo sente ogni giorno. Animismo è un termine occidentale, coniato per cercare di dare una sorta di contenitore a tutta una serie di realtà spirituali, rituali, tradizioni e soprattutto modi di vivere molto sfaccettati. Questo avviene nei gesti e nelle abitudini che hanno reso la realtà del vivere quotidiano ebbra di un velo immateriale, che pare permeare ogni cosa.
L’Africa è diversa.
In Togo, dove è ambientata questa narrazione, non sono – come si potrebbe pensare a prima vista – l’estrema povertà e arretratezza dello stato sociale a causare il perdurare di certe credenze che risultano ancora oggi così fortemente radicate. Nonostante la forte influenza del colonialismo europeo – prima tedesco e poi francese – che ha portato il Cristianesimo a diffondersi nel paese, e, più a nord, la crescente diffusione dell’Islam, le credenze tradizionali conservano il maggior numero di seguaci tra la popolazione, dove il 51% dei togolesi trovano completezza spirituale nelle antiche realtà religiose africane.
Realismo magico africano
Il mio avvicinamento a una realtà così complessa e sfaccettata non è stato quello di uno studioso, ma quello di un autentico curioso.
Nei due viaggi in Togo che mi hanno portato a conoscere il Vodu, letteralmente segno del profondo – o Voodoo, termine più noto e di derivazione anglosassone – , mi ha stupito non trovare la magia celata dietro segreti rituali nascosti, come invece si potrebbe immaginare pensando al Voodoo, spesso collegato alla magia nera. A saper bene osservare, a lasciarsi trasportare e coinvolgere, questa magia pervade ogni semplice gesto del quotidiano, consapevole o inconsapevole che sia. Ho cominciato a chiamarlo realismo magico africano non potendo fare a meno di pensare a quelle strane atmosfere, capaci di produrre uno spostamento mistico, tanto care a Gabriel García Marquez, dove il verismo del quotidiano si mescola improvvisamente e repentinamente al mistico, al soprannaturale.
Momenti di spostamento mistico appunto, affascinanti congiunture incantate (o stregate), continuavano a ripetersi coinvolgendomi sempre di più e accrescendo al contempo il mio profondo rispetto – e soggezione – per questo ancestrale mondo spirituale.
Come quando risalendo la foresta per raggiungere una cascata sacra ad Ayda-Weddo – loa della fertilità e delle acque dolci – un bambino di circa dieci anni ci ha affiancato senza dire nulla e, appena giunto alla polla d’acqua situata alla base della cascata, si è posizionato al centro di essa dove, spinto da una ragione a me oscura, ha assunto una posizione ascetica. Giusto il tempo di realizzare un paio di scatti e se n’è andato, di nuovo giù per la foresta, senza proferire parola. È stato uno dei momenti più emozionanti dei miei percorsi africani.
E ancora, quando girovagando in solitaria per le stradine della piccola Atakpamé durante una festività in onore dell’igname, un cibo molto popolare in Togo, anch’esso con forti contenuti simbolici legati al fatto che il periodo di maturazione del tubero sotto terra è di nove mesi come nella gestazione umana, affacciandomi a un vicolo vidi questa maschera-spirito impegnata in una danza solitaria al ritmo di tamburi risuonanti in lontananza, forse dall’altra parte della città, senza pubblico se non me. E così come lo trovai, continuò a danzare anche quando mi allontanai. Mi sono trovato spesso in situazioni di questo genere e ogni volta ho provato questa sensazione di spostamento mistico.
È così che l’Africa ti entra dentro, a volte pian piano penetrando nella pelle, altre volte con un pugno allo stomaco.
Luoghi e persone creano una combinazione unica, come fossero radici che si avvinghiano all’anima, rapendola e cambiandola per sempre.