Affrontare la disabilità di un figlio non è cosa semplice. Infinite sono le domande che affollano la mente dei genitori a cui è successo. Alcune su tutte, però, necessitano di una risposta urgente: una volta scomparsi i genitori, gli eredi, come faranno? Come potranno affrontare la vita di ogni giorno? Chi si occuperà di loro e delle loro necessità? Esistono poi dei luoghi dove, a queste, si aggiungono anche altre problematiche. La fame, la mancanza o la carenza di prospettive, la superstizione e un sostrato culturale troppe volte chiuso. Fortunatamente, come a volte avviene solo nelle favole, anche in questi posti c’è chi, volenteroso, illuminato e mosso da semplice voglia di fare del bene, si batte per poter dare assistenza e un domani alle persone afflitte da handicap, fisico o psichico. È questa la storia di Little Eden nella cittadina sudafricana di Edenvale, di Lucy Hyams e di suo marito che lottano da quasi 60 anni per prendersi cura degli ultimi tra gli ultimi.
Il complesso, immerso nel verde di un amplissimo parco, è stato fondato nel 1967 dalla madre di Lucy, Domitilla, di origine italiane. Da allora è cresciuto e ha dato ospitalità a un numero altissimo di persone. Nel 2018 il centro accoglieva circa 250 ospiti con le patologie più disparate. L’intenzione dei gestori è prendersi carico vita natural durante delle persone che bussano alla loro porta, consapevoli della completa assenza di genitori, parenti, amici dei ragazzi. Sì, perché, oltre alla difficoltà di poter dare una vita dignitosa ai propri figli, i genitori che lasciano i bambini al centro devono affrontare un fattore culturale difficile da sradicare: la superstizione. Se nasce un figlio ‘anormale’ significa che dio è arrabbiato con la coppia che, evidentemente, deve aver fatto qualcosa che non doveva. Un figlio diverso è un castigo, una pubblica ammissione di colpevolezza, una gogna sociale. La soluzione è sbarazzarsi del pargolo, sperare, così, di placare le ire del signore e che il prossimo nascituro sia normale. Questo porta al completo abbandono dei piccoli che, se non arrivassero ai cancelli di Little Eden, sarebbero condannati a morte certa. L’abbandono non è semplice incuria. Si tratta di abbandono fisico in luoghi solitari. E vale per tutti, indipendentemente dall’età. Sono tantissime le persone adulte che vengono portate a Edenvale e lasciate a se stesse. Molti genitori non solo non tornano mai a vedere se stanno bene o male, ma neppure si interessano del fatto che riescano o meno ad avere accesso alla struttura.
Alla luce di tutto ciò, Little Eden tenta di sopperire non solo a mancanze materiali ma, soprattutto, a quelle spirituali e affettive. La struttura non è solo un luogo di accoglienza. È una famiglia e come tale si comporta. Si cerca di prendersi cura l’uno dell’altro, ci si spalleggia e aiuta, nei limiti del possibile. Si fanno cose assieme. Non mancano disaccordi e litigi, però si cerca di andare avanti. E non c’è bisogno di grandi cose per farlo. Anzi, sono quelle piccole che danno conforto a chi vive Little Eden. È aspettare i volontari, provenienti da ogni parte del mondo, per la musicoterapia o per giocare. È vedere sbucare dalla porta un’aiutante di Lucy che accompagna il fisioterapista alle vasche. È iniziare ad avere fame e sentire il profumo che arriva dalla cucina della mensa sapendo che a breve si potrà mangiare tutti assieme. C’è poi chi riesce e preferisce mangiare da solo, ma non rimane mai da solo, come in una famiglia.
Non è, però, tutto così semplice, come non è semplice all’interno di una famiglia, anzi. Le zone d’ombra, i momenti di completa stagnazione e inattività ci sono. Trascorrono intere ore prima che il personale arrivi da tutti, che i medici visitino e gli esercizi vengano svolti da tutti. Ore in cui gli ospiti sono semplicemente ‘parcheggiati’ in ampie sale d’attesa o nei corridoi, spesso da soli, a volte in compagnia di un solo operatore per decine di loro. Per fortuna nell’immenso parco che circonda la tenuta si può passeggiare, giocare come nelle palestre allestite, andare sulle altalene, andare a pregare in una piccola chiesa poco distante dal refettorio, costruita grazie alle donazioni di un privato. Ed ecco il vero grande problema. Little Eden non gode di un grande aiuto da parte dello Stato. Tutt’altro. Questo copre il 30% del fabbisogno mensile lasciando sulle spalle dei gestori il rimanente 70%.
Lucy nonostante tutto non ha mai demorso, non si è mai arresa e non ha nessuna intenzione di farlo. Ogni giorno, fatto il solito giro di controllo e coordinamento, va a bussare alle porte di supermercati, utenti privati, associazioni, per racimolare il necessario per proseguire. L’alternativa è chiudere, abbandonare le centinaia di persone ospitate a un destino segnato. Opzione che non è nello spirito degli amministratori consci che la lotta non è contro qualcosa di materiale, tangibile quanto contro una forma mentale che ritiene quelle persone castighi di dio non degni di nessun aiuto. Questo è il vero handicap da combattere ed è in persone perfettamente sane.