Abbiamo chiesto ai nostri autori e al nostro network di rispondere a tre domande su come stanno affrontando questo difficile momento storico. Ecco qui l’intervista a MARTINA MARINI, giornalista e autrice di DooG Reporter.
C’è una bellezza del mondo, anche banale, che hai riscoperto in questo periodo?
Sono Romana da sempre, a quanto pare, e per chi nasce in questa città, l’educazione alla Bellezza dovrebbe essere qualcosa di più naturale. Ma in questo periodo ho conosciuto e sentito la mia città per la prima volta, e per la prima volta sentivo forte la voglia di proteggerla tanto da non volerla condividere con nessuno.
Ho avuto il privilegio di vedere la mia Roma Riposare, di riuscire a sentire il rumore dello scrosciare dell’acqua di fontana di Trevi addirittura qualche metro prima di varcare la piazza, vedere il Colosseo e l’arco di Costantino quasi deserti, sentire sotto il sedere il marmo freddo di piazza di Spagna, ammirare il tramonto ‘sur biondo Tevere‘ senza traffico e ascoltare nonni che raccontavano ai nipoti la storia del Pantheon.
Roma, la prima volta che ho rimesso i piedi sui sampietrini, è stato come spiarla. Lei, come quelle donne che sono Belle così, e che non hanno nulla da aggiungere, si impreziosiscono del loro modo o del loro sorriso. Dietro un sipario, l’ho vista ballare di nascosto un assolo, timida… ma libera, splendente e scatenata… ruffiana, irresistibile, come se stesse sfogando tutte le frustrazioni delle serate ingessate e di rappresentanza. È qualcosa di meraviglioso.
Invece quello spettacolo era proprio per me, per noi!
La malinconia è il sentimento che più mi rappresenta, e anche in questo caso, in un prossimo ritorno alla normalità, la mia Donna Roma, mi strizzerà l’occhio nel ricordo dello spettacolo che ha dedicato solo a noi in questo periodo difficile. E sarebbe compito di tutti non dimenticare la bellezza e la cura verso di essa.
Come credi la tua professione sia cambiata o cambierà?
In questo periodo mi sono messa ‘in finestra‘ sotto vari punti di vista. Non sono tra quelle persone che dovevano ritrovare sé stesse o sono andate in crisi perché chiuse in casa. Ho semplicemente preso questo periodo per rallentare, osservare, ascoltare, pormi delle domande alle quali – boh – ancora sto cercando risposta. Scattare praticamente quasi zero. Perché dire fotografare e distanziamento sociale è un ossimoro. Ho osservato chi lo faceva. Notavo ovviamente tanti neo fotografi di food e tanti che tra le loro mura o dalle loro terrazze si sono cimentati creando punti di vista interessanti ma secondo me fini a sé stessi. Non so se ci saranno grosse trasformazioni ma compito e dovere della fotografia, a maggior ragione ora, deve essere quello di continuare a raccontare storie, a dar voce a chi urla e non viene ascoltato e testimoniare quei cambiamenti che probabilmente saranno più evidenti nei prossimi mesi.
Un’immagine, un libro e una canzone che rappresentano per te questo periodo.
Un’immagine a cui io sono molto legata, regalo della mia più cara amica Francesca, e che mi ha fatto compagnia in questo lockdown è il ritratto di donna della tribù Himba di Salgado. Si dice che le donne restavano sole nel villaggio assumendo su di esse tutto il potere, quando gli uomini partivano per lunghe transumanze. Salgado la sorprende nella sua solitudine, nella sospensione del momento presente.
Una canzone che a me piace molto è Futura di Lucio Dalla che, nonostante i muri e le difficoltà, ci dice che l’amore verso l’Altro e la speranza ci possono salvare.
Uno dei libri che ho letto in questo periodo è Ruggine di un mio collega, anzi amico Cristian Umbro. Un libro intimo e delicato, schietto e divertente. Che racconta la storia di Ruggine (Ruggiero Taracchi) un trentenne romano, conducente di autobus. La ruggine è da sempre metafora di cambiamento imposto dalla natura, dal tempo che passa. Come nel nostro caso. Nel suo essere leggero è un romanzo che fa riflettere sullo scorrere del tempo e su come questo tempo viene impegnato… se lasciare che la ruggine si compatti sempre di più fino a far ossidare le nostre paure, rimorsi fino a renderci sempre più immobili o prendere in mano la nostra vita e lasciare lo spazio alle possibilità della felicità. In antitesi alla bellezza che ho riscoperto, ovviamente, qui da sfondo ritroviamo la “straziante normalità” della seppur “eterna e insostituibile” Roma.