Gli occhi di Benedetto sono pieni di un misto di attesa e rassegnazione mentre accoglie Giacomo Marino e Cristina Delfino, rappresentanti dell’associazione Un Mondo Di Mondi. Alla Polveriera di Reggio Calabria, insediamento-ghetto di baracche in cui vivono 23 famiglie rom italiane, i giorni trascorrono tra l’attesa di una buona notizia, la ricerca di un lavoro, la cura dell’orto, la realizzazione di qualche lavoro saltuario o la raccolta di rottami di ferro da rivendere. La via in cui si trovano le costruzioni non dovrebbe neppure esistere, eppure in municipio c’è e le residenze sono assegnate. C’è chi alla Polveriera ci è arrivato e chi ci è nato. Un angolo remoto del Sud America. Medesimo clima, medesimo “mare turistico”, cristallino, attraente, e medesima miseria. Mentre la Reggio bene passeggia sul corso Garibaldi, nel “retrobottega” si nascondono e si concentrano le situazioni di disagio. «L’insediamento» – spiegano Marino e Delfino – «è nato nel 1960. Con l’andare del tempo una parte delle famiglie ha vinto dei bandi comunali per l’assegnazione di alloggi popolari. Il comune e l’Azienda Territoriale per l’edilizia residenziale hanno loro proposto uno stabile nel ghetto del quartiere di Arghillà, all’estrema periferia nord della città. Stessa location dove le istituzioni, negli anni ottanta, avevano deciso di concentrare tante famiglie povere di Reggio Calabria. La gran parte degli aventi diritto ha rifiutato la proposta perché non intendeva, e non intende, passare da un ghetto a un altro, rivendicando il diritto all’inclusione sociale, chiedendo una soluzione abitativa in equa dislocazione realizzata solo in parte.»
Nel frattempo le abitazioni della Polveriera crollano. «Questo è successo qualche settimana fa» – dice Benedetto indicando la parte del bagno ricostruita con pannelli di legno e il wc sospeso su tre mattoni – «e meno male che non c’era nessuno se no si sarebbe rischiato anche il morto. La parete è crollata di colpo. Ora siamo in attesa che il Comune faccia qualcosa per metterci in sicurezza ma ancora non ha fatto nulla.»
Negli 80 metri che definiscono il vicolo, il pericolo di crolli non riguarda solo le case. La parete che accompagna in fondo alla breve discesa, appartenente a un vecchio fabbricato militare, pende vistosamente verso la stradina e verso le abitazioni-baracche. Nonostante la presa visione delle condizioni da parte delle istituzioni non c’è stato alcun intervento. Il vecchio fabbricato nasconde altre insidie. Dietro i panni stesi si celano cumuli di detriti e rifiuti geologicamente stratificati. Elementi comuni anche con l’unico ‘spazio aperto’ dove i bambini giocano e dove si trova un rubinetto che funge da doccia.
A Reggio Calabria non c’è solo la Polveriera
«Grazie a 20 anni di battaglia sociale per l’equa dislocazione abitativa» – spiegano i volontari di Un mondo di mondi – «oggi a Reggio Calabria 130 famiglie rom italiane delle 325 che risiedono nella città abitano in alloggi popolari equamente dislocati. In 195 sono ancora ghettizzate: 23 nel ghetto-baraccopoli della Polveriera, 172 in due ghetti di alloggi popolari – Arghillà nord e Ciccarello palazzine. Le 130 famiglie che abitano in equa dislocazione costituiscono il 40% del totale e vivono in una condizione di inclusione sociale che presenta un netto e progressivo miglioramento. Le restanti 195 si trovano in una condizione di emarginazione sociale che peggiora ogni giorno». Oggi l’associazione Un Mondo Di Mondi prosegue la battaglia sociale per l’equa dislocazione abitativa accanto alle famiglie ancora in difficoltà. «In modo particolare» – spiega Marino – «accanto alle famiglie della Polveriera. Lo sta facendo chiedendo la legalizzazione della gestione degli alloggi non solo per nuclei rom. Oggi l’assegnazione di un alloggio è un’operazione diventata difficile a causa della gestione illegale degli alloggi di edilizia residenziale da parte delle istituzioni pubbliche».
Com’è capitato alla famiglia di Loredana e Gianluca che, pur avendo avuto in assegnazione provvisoria, qualche anno fa, un appartamento in equa dislocazione nel rione Marconi, ha subito lo scorso anno lo sfratto dal Comune perché accusata erroneamente di occupazione senza titolo dell’alloggio. Per questo errore hanno vissuto, con 4 figli minori, per dei mesi in auto. Dopo un lungo confronto con il Comune portato avanti dall’associazione, la loro posizione è stata chiarita e la famiglia è stata autorizzata a ritornare nell’appartamento loro assegnato.
Il sogno di molte famiglie ancora ghettizzate è quello di ottenere l’assegnazione, come aventi diritto, di una casa in equa dislocazione. Com’è avvenuto qualche anno fa a Rinaldo al quale è stato assegnato un alloggio popolare nella parte nuova del Rione Marconi. Oggi Rinaldo è fiero della sua situazione abitativa ed è in cerca di una stabile occupazione lavorativa.
Queste persone non subiscono solo lo smacco dell’indigenza, i rifiuti di un lavoro anche occasionale, la ghettizzazione ai margini della società consumistica. Subiscono anche una seconda discriminazione in quanto cittadini di origine rom e quindi emarginati a prescindere, seppur cittadini italiani da generazioni, e seppure molti di loro abbiano prestato regolare servizio militare.