28 dicembre 2024 – Il pick-up di Ben fa inversione e si allontana alzando la polvere della Carretera Austral. Sono circa le otto di sera del giorno di Santo Stefano, il tramonto è ancora lontano ma ci siamo salutati in una luce già dorata.
La macchina non la vedo già più, dopo una settimana condivisa con amici italiani sono di nuovo sola. Ho pensato un po’ a come non farla suonare tragica, ma nemmeno volevo dire ‘finalmente’: sono contenta di essere un’altra volta in balia della strada e delle mie stesse decisioni, ma qualche giorno di riposo mi ha fatto bene. Il sole basso accarezza i ciuffi d’erba della pampa, c’è un vento squisito e io mi sono appena messa gli occhiali per vedere bene i guanacos, una specie di lama che sono ovunque in questa parte di Patagonia. Non vedo l’ora di montare la tenda in questo posto sensazionale e di sdraiarmi a guadare il tramonto e ad assimilare tutto quello che è successo nell’ultima settimana, almeno. Lascio il cervello vagare per vedere dove mi porta, e va diretto alla laguna San Rafael, un fiordo punteggiato di iceberg, foche e leoni marini.

Un blocco di ghiaccio grande come casa mia si stacca dal fronte del Campo de Hielo Norte e si schianta nell’acqua cinquanta metri più in basso, alzando un’onda che si dimezza, e dimezza e dimezza fino ad arrivare alla nostra barca. E’ il quarto ghiacciaio terrestre per estensione, e ogni estate viene sbocconcellato un po’ per sua stessa natura, e un po’ di più per il pianeta sempre più caldo. L’unica cosa che riesco a pensare è quanto io sia fortunata a essere qui. Poco fa siamo passati a dieci metri da una foca leopardo che si tuffava giù da un iceberg, e io non sono un’appassionata di animali ma era una cosa gigantesca, lunga più di due metri, che vive solo in questo lago e in Antartide. E poi c’è il leone marino che prende il sole su uno scoglio, e i pezzi di ghiaccio blu a galleggiare sull’acqua, e tutte le coincidenze che mi hanno portato a essere testimone di queste cose in un fiordo sperduto quasi sul Pacifico, seduta a gambe incrociate sul tetto di una barchetta.
Alle due del pomeriggio del giorno di Natale mi tuffo nell’acqua gelata della laguna sotto la parete di 2500 metri del Cerro San Lorenzo. C’è un sole che non ci crede nessuno che ci sia un sole del genere in Patagonia, e l’acqua è così fredda che a mettere la testa giù sembra che qualcuno me la schiacci, una scossa di energia sveglia tutto il corpo. Alle sei sono con le gambe sotto il tavolo in casa di tale Don Luis, proprietario di un’estancia di 600 ettari, 40 vacche e chissà quante pecore in un posto che si raggiunge con due ore di sterrato cattivo da un altro posto già abbastanza remoto. Due volte al giorno un programma radio fa il giro di ogni casa della zona, chiedendo se gli abitanti devono trasmettere qualche messaggio o hanno bisogno di qualcosa, perché il telefono qui non arriva.

I figli tirano fuori un numero indefinito di birre, che dopo la camminata sembrano un toccasana, mentre il capretto ucciso e scuoiato la sera prima si arrostisce davanti al fuoco. Quando è pronto ci spostiamo in cucina, e tutti insieme attorno allo stesso tavolo mangiamo una cena di Natale così atipica e deliziosa da essere commovente. Prima del dolce (ma dopo una considerevole dose di vino) Don Luis prende la fisarmonica e inizia a suonare. Dopo un po’ si interrompe e racconta che si è fatto insegnare dal padre, a cui piaceva tanto suonare, ma che a un certo punto non è più stato in grado per la malattia. Gli occhi gli si riempiono di lacrime, passa la fisarmonica al figlio e si siede a tavola con le mani sul volto.
La mia mente fa un altro salto e torna al giorno di oggi, 26 dicembre, quando ho chiuso la portiera e siamo partiti verso la carretera, verso l’asfalto, via da quella estancia dal prato verde, ai piedi del cerro. Uno di quei posti che si lasciano con lo stomaco un po’ stretto, perchè non si sa mai dove si tornerà. E chissà se rimarrà così, l’estancia di Don Luis, o se arriveranno il telefono e la strada e le guesthouse e tutte quelle piccole cose capaci di prendere la poesia di un posto e spezzettarla in granelli così piccoli che quasi non si vedono.
