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Il sole brucia la terra color bronzo arancio di questa officina all’aperto di Ablekuma, distretto occidentale della capitale ganese, Accra. Su una panchina di plastica, a fianco dei lotti per le auto in riparazione, la radio di Mr. Quaye, capo meccanico dell’officina, trasmette le omelie di un pastore che mischia twi e inglese. Oggi è domenica, ma le macchine non guardano in faccia ai giorni festivi quando decidono di rompersi.
Seduto su uno pneumatico, un ragazzo di vent’anni annega nel sudore. Il suo sorriso, però, splende più del rottame bianco che sta cercando di riparare. Si chiama Jonathan, ma non manca di sottolineare che gli amici con cui gioca a calcio lo chiamano Balo. Lui è il più giovane tra i suoi colleghi. Il nuovo apprendista di Mr. Quaye.
Età a parte, c’è qualcosa di diverso negli occhi di questo ragazzo. Là, dove i suoi colleghi imprecano sulle cianfrusaglie e non vedono altro che macchine senz’anima, Balo vede un campo da gioco dove far crescere un sogno. E questa volta il calcio non c’entra nulla.
Una smorfia di seccatura si palesa sul viso di Mr. Quaye quando gli rubo il suo apprendista per scambiarci qualche parola.
Sin dalla sua infanzia, Jonathan custodisce il desiderio di proteggere il suo paese e le persone con cui è cresciuto. È proprio alla scuola elementare che Jonathan ha sviluppato questa sua visione, ispirato da un’uniforme in un film visto con i compagni e la maestra.
Jonathan non mi fa aspettare troppo prima di vuotare il sacco. Nella sua visione, i “giocattoli” che maneggia – le chiavi inglesi, i cacciaviti, le ruote bucate e i cofani – faranno di lui quello che la scuola non ha potuto fare: un soldato.
Una domanda però mi sorge legittima: come fa un meccanico alle prime armi che non ha finito la scuola a entrare nell’esercito nazionale?
È un progetto per il futuro
Per Jonathan, lavorare con Mr. Quaye non è solo un lavoro. È un vero e proprio piano. Un percorso lungo tre anni per imparare l’arte delle riparazioni.
Una volta capace, Jonathan spera di ottenere un certificato da Mr. Quaye. Un documento da presentare all’esercito per testimoniare la sua abilità nell’aggiustare i veicoli, e diventare così un tecnico soldato, per poi scalare i ranghi e realizzare il suo sogno.
Quando chiedo a Jonathan di raccontarmi cosa ne pensa suo padre, i suoi occhi si fanno lucidi e dei sorrisi forzati nascondono smorfie di tristezza. Il papà di Jonathan non c’è più. È venuto a mancare qualche anno fa. Quello che motiva Jonathan a coltivare il suo sogno, nonostante le difficoltà, è sapere che a suo padre non sarebbe piaciuto vederlo rinunciare a ciò che lo rende felice.
È proprio in quel momento che, per me, tutto assume un senso. Ora questi cacciaviti, martelli, trapani e brugole sulla terra bruciata di un’officina di Accra smettono di essere solo dei giocattoli e diventano gli utensili che un uomo ha per costruirsi la vita che vuole.