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Roosevelt nella sua casa, l' Ambasciata d'Italia a Montevideo | ©Lisa Zillio

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Gabriele Orlini

Il grande salto

Chi vive la strada sa bene cos'è il grande salto. E Roosevelt, che oggi ha un nome ma anche un cognome, l'ha fatto due volte.
Pubblicato il 8 Ottobre 2023

D: Ambasciatore, mi dica… ma Roosevelt, quando lei concluderà il mandato, resterà qui in ambasciata a Montevideo?

R: Non scherziamo, Roosevy parte con noi!
... lo devo portare con me in moto in giro per Roma.

MONTEVIDEO – Conduceva una vita tranquilla, ricca di quella primordiale “tranquillità” che solo la strada sa dare a chi – della strada – ne aveva fatto casa.
Una quotidianità di scorribande con i piccoli animali del parco e della costante ricerca di qualcosa da mangiare. Rovistando nei cassonetti sempre pieni di cose interessanti che, turisti e villeggianti, riempivano nelle vie del grande parco cittadino: 1500 ettari tra boschi, prati verdi, aree barbecue, fronte il grande Rio de La Plata, a Montevideo, in Uruguay.

Conduceva una vita tranquilla. Anche perché poteva sempre contare sulla spalla del suo padrone: un senzatetto dalle molte speranze e dalle poche certezze.
Quei due, a vederli, erano una fotografia uscita dalle parole di Paul Auster: Willy e Mr Bones poco prima della partenza della loro grande avventura, quella che valeva una vita.
A vederli insieme si capiva che parlavano la stessa lingua, che avevano trovato la loro Timbuctu. A vederli insieme, nella cerca quotidiana di qualcosa da mettere nello stomaco, rovistando i cassonetti del parco Roosevelt, si capiva che anche se quel giorno non avessero mangiato nulla, potevano comunque contare uno sull’altro. E ciò bastava per rendere quella vita difficile, una vita che meritava di essere consumata. Anche solo per poterla raccontare.

Ma venne il giorno. Chi vive la strada lo conosce bene. È il giorno del grande salto. E che tu sia pronto o meno poco importa. Arrivò il giorno in cui il suo padrone, stanco e sopraffatto dalla strada, si addormentò un’ultima volta, sognando – forse – di dialogare ancora con il suo fidato amico. Quel mattino Mr Bones – il cane – rimase solo. A fissare un corpo che, ormai, non era più capace di rispondere al loro intimo stare. Solo. Nel grande parco. Con tanti cassonetti da controllare.
Non si perse d’animo e per un tempo che sembrò lungo continuò a fare ciò che sapeva: rincorrere i piccoli animali del parco, rotolarsi nell’erba fronte il grande fiume, rovistare nei cassonetti.
Ma per la prima volta nella sua vita era rimasto solo.

Rio del Plata | ©Gabriele Orlini, 2023

Quelli cattivi

Se passeggiavi nel grande parco Roosevelt di Montevideo lo potevi vedere. Lo potevi incontrare, e anche accarezzare. Si fidava delle persone perché in quei pochi anni di vita, forse 4, poteva contare sulla serenità che il suo padrone aveva saputo donargli.
Era un cane buono, forse troppo, per affrontare da solo la strada anche se fatta, in quel contesto, di prati verdi fronte il grande fiume che diventa oceano.

E così vennero gli uomini. Sembravano gentili e forse all’inizio pure lo erano. E lui, il cane, si fidò di loro perché ancora ignorava che non tutti gli uomini erano come il suo padrone.
E vennero gli uomini che lo portarono via, lontano dal grande parco che era stato – da sempre – la sua unica casa e la sua strada.
Gli misero un guinzaglio e – forse – per un istante, pensando fosse un regalo si ritrovò pure a scodinzolare. Ignaro che quegli uomini – e quel guinzaglio – stavano cambiando in un solo istante tutta la vita che aveva finora conosciuto.
E non ci furono più i piccoli animali del bosco, non ci fu più l’erba su cui rotolarsi, non ci furono più i cassonetti da controllare.
Ci fu una gabbia. Non troppo larga e comunque molto più stretta della sua strada. Ci furono altri cani, come lui, ignari, spaventati, ma – a differenza di ciò che lui sapeva essere – arrabbiati e ringhiosi.
Ci fu un’arena. Ci furono molti uomini tutto intorno che con grande chiasso e urla, lo incitavano nel fare l’unica cosa che non sapeva fare: combattere. Morsicare. Azzannare, per sopravvivere. Fino ad allora sopravvivere per lui aveva significato un cassonetto pieno. Ora il sangue era un sapore che aveva imparato a conoscere.
Adesso, su quel bel cane, allegro, dal pelo nero come la notte, erano evidenti i segni delle lotte. Quelle piccole e grandi cicatrici di chi, la vita, l’ha dovuta morsicare per davvero.

Quelli buoni

Ma vennero gli uomini, quelli buoni. Lui però aveva scordato come erano fatti. E scappò. Lontano. Tornò nella sua strada, nel grande parco fronte il grande fiume che diventa oceano e che lo aveva visto crescere. Ai suoi amati cassonetti. E ogni volta che cercavi di avvicinarlo, lui se ne andava. Lontano. Per poi tornare, ma rimanendo sempre distante.
Gli uomini buoni però hanno una cosa che altri non posseggono: la pazienza. Lui scappava. E loro lo attendevano. E un giorno lui si lasciò avvicinare.

Fu per lui un grande passo. Volle dare fiducia e in cambio ricevette una nuova vita.
Non più cassonetti da rovistare ma una ciotola piena di cose giuste per lui. Non più la strada ad accoglierlo, ma una cuccia calda e asciutta. Scoprendo la gioia di un gioco da possedere e distruggere, e voci suadenti e affettuose nell’educarlo.
La vita, che l’ha fatto nascere e crescere nel Parque Roosevelt, ora lo accoglieva pulito e profumato nella residenza dell’Ambasciatore d’Italia a Montevideo. Libero di camminare tra le sale del palazzo, con un accesso sempre aperto alla cucina e con un biglietto d’aereo pronto al suo grande viaggio: il suo grande salto.
Dopo – 5 anni forse – il cane che rovistava nei cassonetti ha trovato una famiglia.
E per ricordare da dove viene e dirgli dov’è adesso, il suo nome è Roosevelt Iannuzzi.

Roosevelt Iannuzzi, Montevideo | ©Lisa Zillio
Testo:  Gabriele Orlini
Testo originale in Italiano - Traduzione interna
uruguay
Parque Roosevelt, Avenida a la Playa, Ciudad de la Costa Dipartimento di Canelones
DooG's Founder
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Italia
Documentary Photoreporter
La missione umanitaria della Onlus MotoForPeace in Sud America nel 2023, attraverso Uruguay, Argentina, Bolivia, Cile, Argentina.

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