Tempesta improvvisa
Lo sguardo di Maria [1] volge oltre il Mtkvari, affacciandosi dal balcone del suo appartamento, a Tbilisi.
“È stata una scelta coraggiosa, ma anche pericolosa” le confesso. “Talvolta bisogna solo agire, senza pensare alle conseguenze” risponde, consapevole già allora che quel gesto le sarebbe costato caro. “Stavamo cercando di proteggere un antico bosco nella mia città, destinato all’abbattimento al fine di costruire un centro commerciale” racconta, mentre sorseggia il suo calice di Karkadè rosso sangue, “Ancor prima della manifestazione sapevo che, se avessero voluto, mi avrebbero trovata”.
E così è stato.
Per lei, figlia di Vladimir Makarov, ex ministro della regione di Chelyabinsk, opporsi alle politiche del governo è stata una scelta spiazzante, incomprensibile persino per i poliziotti che hanno provveduto al suo arresto. “I giorni seguenti alla manifestazione le autorità hanno iniziato a monitorare il mio cellulare” dice Maria, interrompendosi per un istante. Un ghigno scompone il suo sguardo assorto. “Esiste infatti un organo preposto per queste indagini, volte a identificare presunti oppositori come me, ritenuti terroristi, per i quali si è autorizzati a perquisire la rispettiva abitazione e, se qualcosa non li convince, a procedere con l’arresto”.
In seguito la detenzione: undici giorni senza vedere la luce del sole e poi rilasciata, con la consapevolezza che nulla sarebbe più stato come prima, anche se mai avrebbe immaginato che da lì a pochi mesi, la sua vita sarebbe cambiata drasticamente. “L’annuncio della mobilitazione è stato il punto di non ritorno” continua. “Nel preciso istante in cui ho saputo, ho realizzato una scelta difficile ma necessaria: lasciare casa, abbandonare i miei affetti, era l’unico modo per continuare a difendere le mie idee, capisci?”
La sua voce è interrotta da un sospiro: “Qui almeno posso ancora partecipare a un cambiamento che credo arriverà presto”.
“Che tipo di cambiamento?” chiedo.
“Un cambiamento che nessuno si aspetta, di quelli che arrivano e spazzano via tutto, come una tempesta improvvisa”.
A un anno e mezzo dal suo trasferimento, Tbilisi si è presentata come uno spazio di libertà in cui ha potuto esprimere apertamente il suo dissenso e dove, racconta, le persone hanno mostrato accoglienza e compassione, anche se negli ultimi mesi la situazione sta cambiando.
La presenza costante di cittadini russi sta diventando motivo di disagio per una significativa parte della popolazione locale [2]. A questo si aggiunge che la Georgia non sembra più un luogo sicuro come prima. “Solo pochi giorni fa una giornalista è stata avvelenata [3] a circa dieci minuti da dove abito” mi confida. “Sono consapevole che la mia libertà sia solo un’illusione e, giorno dopo giorno, ora dopo ora, sento che Tbilisi non è più un luogo sicuro. Mi sento bloccata, come se mi trovassi ancora in prigione”.
Oltre confine
Dall’inizio della guerra in Ucraina, più di un milione di cittadini russi hanno lasciato il Paese [4]. Sebbene molti siano rientrati nel corso del conflitto, un numero consistente di persone si è trattenuto al di fuori dei confini nazionali, e la loro presenza resta evidente in molti Paesi limitrofi alla Russia. Inoltre, la mobilitazione militare avviata il 21 settembre 2022 ha intensificato il fenomeno migratorio, complice la paura per la propria incolumità e il dissenso, percepiti da una parte della popolazione.
Giovani generazioni, famiglie, giornalisti, ex politici e attivisti hanno così stabilito una nuova casa in Paesi come Armenia, Kazakistan e Turchia. Tra questi, spicca anche la Georgia, in cui più di centomila russi sono emigrati stabilmente [5] – complice la facilità di ingresso nel Paese – portando con sé un bagaglio di emozioni contrastanti da cui affiorano nuovi ideali, ponti che stanno contribuendo allo sviluppo di iniziative civili sia in Georgia che in Russia, non senza difficoltà.
Segnata da un passato di guerre e lotte per l’indipendenza nelle regioni dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, la Georgia non sembra offrire ai russi un rifugio caloroso. Camminando per le vie della capitale caucasica ogni muro sembra ricordarglielo, dipingendo un quadro di diffidenza e rabbia, frutto di un ricordo tangibile delle ferite ancora aperte tra i due popoli. Dai balconi delle abitazioni vengono esposte bandiere dell’Ucraina e dell’Europa, alle quali spesso si affiancano bandiere di colore bianco e blu, nate da un sentimento di protesta, simboli silenziosi di rappresentanza di una larga fetta di cittadini russi che di Tbilisi hanno reso un centro in cui costruire un’opposizione, oltre confine.
“…anche una semplice schizzo,senza apparente significato,può trasmettere un barlume di speranza”.
– Denis
Libera espressione
Tbilisi è diventata molto più di un rifugio per Maria e i suoi connazionali: spazi di coworking, locali e pub disseminati per il centro città ospitano incontri dove vengono discussi nuovi orizzonti politici e promosse iniziative a sostegno di campagne di informazione alternative.
Proprio come fa Denis, giornalista freelance ed ex promotore delle campagne politiche di Navalny, quando ancora viveva a San Pietroburgo. ”Grazie al supporto di organizzazioni volte al sostegno dei diritti umani, ho trovato un modo sicuro per attraversare i confini russi” racconta, “prima ho raggiunto il Kazakistan dove sono stato però respinto, poi in Armenia, oggi in Georgia, domani chissà” mi dice mentre allestisce i preparativi per il prossimo evento. La sala si riempie di suoi concittadini, ognuno con storie diverse accomunate dagli stessi ideali.
“In un contesto in continuo cambiamento, il dialogo assume un’importanza cruciale” mi spiega. “Non è semplice da costruire, ma credo che rafforzare la comunicazione con chi si trova ancora in Russia potrebbe essere una delle possibili soluzioni per affrontare una situazione interna al Paese che diventa, giorno dopo giorno, più intricata e preoccupante”.
Tra le iniziative spiccano le testimonianze di ex prigionieri: eventi in cui giovani ragazze e ragazzi che raggiungono la Georgia condividono le loro esperienze di protesta non violenta, a cui è seguito l’arresto e la detenzione. Le luci si spengono e cala il silenzio e percepisco un’aura di preoccupazione e incertezza, in parte dovuta alla mia presenza. “Sei il benvenuto” mi dice Alexej, un giovane attivista che, insieme a Denis, si è occupato di organizzare l’evento. “E puoi scattare foto a me e Denis, ma ti prego di non inquadrare le facce delle altre persone presenti”.
Sebbene la Georgia rimanga per molti un rifugio sicuro, negli ultimi tempi, la percezione di sicurezza sembra essersi ridotta. “Fin dal nostro arrivo girano voci che ci siano agenti russi intenti a monitorare le nostre iniziative[6]” mi confida Alexej, confermando le crescenti preoccupazioni.
A seguito della discussione, i partecipanti si concedono un spazio per scrivere lettere ai prigionieri politici ancora detenuti in Russia. “Nella stesura, dobbiamo essere molto prudenti per evitare la censura” spiega Denis, mentre abbozza il disegno di un piccolo orso sulla lettera, “anche una semplice schizzo, senza apparente significato, può trasmettere un barlume di speranza”.
Anima russa
È una questione molto più profonda di come viene raccontata” mi spiega Leda, nella penombra della sua stanza, mentre mi passa una tazza fumante di caffè turco. ”Se da un lato ci sono tante persone che hanno un atteggiamento passivo nei confronti delle politiche governative, dall’altro è oggettivamente difficile protestare di fronte ai fatti, a causa di una censura sempre più tempestiva e stringente”.
Attivista russa, nota tra i dissidenti per le sue installazioni in Piazza Rossa e nelle strade di Mosca, Leda ha vissuto sulla sua pelle cosa significa sacrificare la propria libertà per un’idea. “Il problema è che, ancora oggi, l’atteggiamento predominante consiste in dichiarazioni come ‘Ok, siamo contro la guerra’, ma questo non è sufficiente e non si traduce in azioni concrete” mi confessa. “Bisogna agire, e mettere in secondo piano la nostra incolumità”.
Un pensiero largamente condiviso da gran parte dei russi che vivono a Tbilisi, e che si manifesta attraverso la promozione di iniziative solidali. Molte nascono dal sentimento comune di fornire un contributo a tutti coloro che, a causa del conflitto in corso, hanno perso una casa, i propri cari e la prospettiva di un futuro.
Il sostegno arriva in diverse forme, come nel caso della libreria Itaka Books, un luogo nato dall’idea di Stas Gaivaronsky con l’intento di offrire libri in lingua russa, in cambio di un’offerta per i rifugiati ucraini.
“Stav è il titolare della libreria, ma in questi ultimi mesi non si trova più qui” mi racconta timidamente una giovane ragazza russa che gestisce il negozio. “Siamo arrivati qui per la prima volta nel 2017, e dopo una breve passeggiata per le strade della città ce ne siamo immediatamente innamorati e, alla luce dei recenti avvenimenti, intendiamo restare e fornire supporto come possiamo”.
Per molti russi restare in Georgia significa agire, liberi dalle oppressioni governative, a sostegno di chi, come loro, la propria casa l’ha dovuta abbandonare. “Contrastiamo la guerra con l’umanità” mi racconta Katia, una giovane russa che ha deciso di trasferirsi stabilmente a Tbilisi, per fornire sostegno ai rifugiati Ucraini presso Volunteer Tbilisi.
“Qui ho trovato una nuova famiglia, che mi permette di oppormi a questo conflitto e dare una mano concreta a chi ha perso tutto a causa della guerra” mi confida, mostrandomi con orgoglio il lavoro che lei, e molti altri ragazzi e ragazze svolgono ogni giorno per sostenere le famiglie ucraine. “Cerchiamo di fornire assistenza a trecentosessanta gradi: distribuiamo cibo, medicine e articoli per l’igiene personale alle famiglie che raggiungono la Georgia”.
E il bisogno di aiuto è immenso, fondamentale per costruire un ponte con il resto dei cittadini, ancora in Russia. “I nostri fondi provengono per la maggior parte dalla Russia e nel corso degli ultimi mesi si è notata un’inflessione delle donazioni, anche a seguito dell’impoverimento causato dalle sanzioni europee” spiega Daniel, volontario di Emigration for Action, un’organizzazione nata dalla volontà degli emigrati russi di aiutare gli Ucraini in difficoltà. “In questo modo, anche i cittadini che ci sostenevano dall’interno della Russia, si trovano ora in difficoltà nel praticare beneficenza, impossibilitati a sostenere un flusso costante di donazioni”. Daniel alza lo sguardo. “Questo significa che dovremo trovare sistemi alternativi per raccogliere fondi, dato che il conflitto è ancora in corso e fino ad allora le persone non smetteranno di arrivare”. Daniel alza gli occhi, mi guarda, e sorride: “E noi continueremo ad aiutarle, finché potremo”.