C’è un momento, attraversando la distesa infinita della taiga mongola, in cui il tempo sembra fermarsi. Il sole filtra tra i rami dei larici, il vento porta l’odore pungente della resina e un silenzio quasi primordiale avvolge tutto. Poi, all’improvviso, il rumore degli zoccoli sulla terra annuncia la presenza delle renne. Un intero branco si muove compatto tra le tende bianche del campo Tsaatan. Non c’è fretta nei loro passi, né esitazione. Sanno che questa è casa loro. Gli Tsaatan sono un popolo che non ha radici fisse. Il loro accampamento cambia posizione ogni due o tre mesi, alla ricerca di nuovi pascoli per le renne. Smontano le tende con la stessa cura con cui le hanno montate, caricano tutto sui loro animali e riprendono il cammino. Il loro essere nomadi non è una scelta, ma una necessità. Una necessità dettata più dalle renne che dai loro bisogni.
Le loro abitazioni, simili ai Teepee dei nativi americani, sono costruite con pali di legno e teli bianchi, lasciando un’apertura in cima per far uscire il fumo della stufa. Dentro, lo spazio è ridotto all’essenziale: un basso tavolino in legno per preparare i pasti e che funge anche da piccola dispensa con gli alimenti, e letti fatti di assi rivestite da pesanti coperte di lana. Quando la temperatura scende sotto lo zero, persino d’estate, il calore nella tenda diventa fondamentale. La stufa, una scatola di metallo sottile, brucia la legna rapidamente e scalda la tenda in pochi minuti. Ma, appena il fuoco si spegne, il gelo si riprende ogni angolo. Per questo ci si stringe sotto le coperte, aspettando il nuovo giorno.


Lo stretto rapporto degli Tsaatan con le renne
Ogni giornata nel campo Tsaatan inizia con la mungitura. Le renne vengono radunate all’alba, le zampe anteriori legate per evitare movimenti bruschi, mentre mani esperte raccolgono il latte in un secchio di alluminio. Il latte di renna è il cuore dell’alimentazione Tsaatan: utilizzato per il milk tea (thè caldo a base di latte di renna), lavorato per ottenere crema e burro, o conservato in bottiglioni di plastica. Qui nulla viene sprecato, tutto può e deve essere riutilizzato. Anche la carne di renna è preziosa. Non si macellano animali giovani, solo quelli troppo deboli per gli spostamenti o vittime degli attacchi dei lupi. La carne viene tagliata e appesa a lunghe corde tra gli alberi, lasciata essiccare al vento della taiga.
La giornata è condizionata anche dal taglio della legna, fondamentale per riscaldarsi. Si parte da grossi ceppi per finire a dover ricavare piccoli e sottili pezzi che servono per accendere le stufe.
Nel cuore della tenda, una donna affetta carne e cipolle su un ceppo di legno usato come tagliere. Non ci sono tavoli, né sedie. Si cucina accovacciati a terra, stabilizzando la tavola con le ginocchia. Sul fuoco, un pentolone di ghisa ribolle con carne di renna, patate e qualche carota. Le poche verdure arrivano dalla città più vicina, Tsagaannuur, a quattro ore di viaggio su cavalli o renne. E proprio le renne, rispetto ai cavalli, sono il mezzo di trasporto privilegiato per affrontare la neve. I loro larghi zoccoli impediscono di sprofondare, garantendo spostamenti più rapidi e sicuri.


I rischi di vivere nella taiga
Mangiare è un momento di condivisione. Ci si siede sui letti, con le gambe incrociate, passando ciotole fumanti e thermos pieni di milk tea caldo. Il pasto è semplice, essenziale, ma sempre abbondante. Accanto a queste azioni quotidiane, altri piccoli gesti della vita quotidiana si rivelano nella loro essenza più pura. Un anziano si rade la barba nel mezzo della taiga, accanto alle proprie bestie. Con una lametta e una tazza d’acqua, si guarda in uno specchietto e, con gesti lenti e precisi, fa scivolare la lama sulle guance.
La vita nella taiga ha anche i suoi rischi. Una notte, un ululato squarcia il silenzio. I lupi sono in agguato, osservano il campo da lontano, aspettano il momento giusto per attaccare i cuccioli di renna. I cani Tsaatan lo sanno, è da giorni che li hanno fiutati e sono più vigili del solito. Abbaiano, corrono attorno alle tende, cercano di allontanare la minaccia. A volte riescono, altre no. Un cucciolo di renna viene ferito, ma le sue condizioni sono troppo gravi, e quindi il giorno dopo la sua carne viene macellata e usata per il pasto.

Un filo sottile
Nonostante la vita arcaica, gli Tsaatan non sono tagliati fuori dal mondo. Per un’ora al giorno, il villaggio si connette al resto del pianeta. Il governo mongolo li ha forniti del sistema Starlink, una parabola che raccoglie il segnale satellitare e permette di inviare messaggi, scaricare informazioni e film per i bambini. Vediamo un uomo seduto sull’erba, un vecchio cellulare tra le mani, lo osserva, lo accende e attende. È un filo sottile che li lega al mondo esterno, utile in caso di emergenza.
L’energia per alimentare telefoni, radio e lampadine proviene da una batteria d’auto ricaricata da un piccolo pannello solare. È poca e viene usata con parsimonia. Serve per controllare le previsioni del tempo, per ricevere notizie dai figli che studiano in città e per illuminare le proprie tende.
Non sappiamo per quanto tempo ancora questo stile di vita potrà resistere.
Ma finché ci saranno renne da guidare attraverso la taiga, latte da mungere all’alba e carne da essiccare al vento, finché il fuoco della stufa arderà nelle loro tende, gli Tsaatan continueranno il loro viaggio.
