Quando fai un viaggio in barca a vela, quello che non ti aspetti è la ricchezza di non avere nulla di proprio. O almeno così è capitato a me.
L’occasione è stato un viaggio alle isole Fiji, in una barca a vela per sei persone, ma molto più stretta e più larga di quanto potessi immaginare.
La barca era ormeggiata a Lautoka, la Sugar city dell’isola di Viti Levu – la più grande delle isole che compongono l’arcipelago delle Fiji. Il soprannome – città dello zucchero – deriva dalla locale produzione di canna da zucchero che dà all’aria quel profumo inconfondibile. da luna park mischiato all’odore del mare
Avevo portato con me poche cose, qualche vestito, la macchina fotografica, qualche libro, l’immancabile lettore di mp3.
In barca impari che non c’è nulla di cui hai bisogno, se non l’essere lì in quel momento. Sempre. Una sorta di hic et nunc portato ai giorni nostri.
Impari ad apprezzare il cibo fresco, perché non sai quando ne avrai ancora; a rispettare gli spazi, perché sono angusti ma possono anche essere troppo larghi e inghiottirti. Impari la condivisione: di un libro, di un gesto, del cielo stellato (e così stellato credevi di non averlo visto mai); a contare i giorni con le maree, quando sei costretto a rimanere all’ancora, e lo struggente desiderio di muoversi se la costrizione permane per più giorni. Impari che i suoni della natura possono confortare meglio di un paio di auricolari e che una mano sulla spalla può commuovere.
Alle Fiji, poi, impari anche che l’acqua della noce di cocco ancora verde è la tua salvezza dalla sete e che il frutto dell’albero del pane (Artocarpus altilis) è qualcosa che non potrai dimenticare (nè davvero descrivere a parole). Ti insegna a spogliarti del mondo, di ciò che non serve ed è solo bigiotteria umana.
Ti riporta alla dimensione di te stesso. Ed è un bel sentire.