A ogni fermata di autobus, in ogni autostazione o punti di rifornimento ci troviamo di fronte ai talibé – dall’arabo “talib” studente o discepolo -, ragazzini fra i 6 e 15 anni che con il loro piccolo secchiello di plastica chiedono l’elemosina. Sono tanti, tantissimi e sono tutti simili.
Vestono in modo trasandato, sono sporchi e soprattutto si approcciano nel medesimo modo. Ti seguono e ti toccano, quasi a raggiungere il tuo cuore, sino a quando non concedi loro qualche franco senegalese. I loro sguardi esprimono tristezza e rassegnazione.
I passanti mi dicono che conviene dare loro da mangiare in luogo di qualche spicciolo e molti, uscendo dai supermercati della città, regalano merendine, succhi di frutta e pane. Iniziano a vagare sin dalle prime ore del mattino e solitamente sono formati in piccoli gruppi. Qualcuno di loro più grande, dice ai novizi dove devono recarsi e come comportarsi per ottenere il massimo risultato dalla giornata che hanno davanti. Non sorridono, sono solo un piccolo ingranaggio della macchina dello sfruttamento.
Li ho visti per strada sino a tardi, quando ormai il traffico cittadino si era quasi completamente diradato. Hanno paura di ciò che li aspetta quando rientreranno. Mi sono sempre domandato da cosa fossero mossi o chi li governasse, e un giorno parlando con Ousmane, un amico di Dakar, mi dice che la loro storia è fatta di stenti e sofferenze.
I marabout
I bambini talibé provengono dalle zone rurali del paese o da fuori, da stati confinanti come Mali, Mauritania, Gambia e Guinea e vengono affidati dalle famiglie povere ai marabout ovvero i maestri che insegnano il Corano. Lo scopo sarebbe quindi l’educazione in un ambiente religioso sotto la diretta responsabilità del maestro. In realtà molte delle scuole coraniche, le “daara”, non riescono a gestire economicamente tutti i bambini che vengono mandati dalla famiglie, di conseguenza l’unico strumento possibile per il sostentamento risulta essere il mendicare.
I talibé vivono in condizione di indigenza senza adeguate cure mediche e sanitarie e sono letteralmente oggetto di violenze e vessazioni da parte del marabout che controlla giornalmente il risultato in termini monetari. Ogni sera ogni talibé deve portare almeno 500 CFA senegalesi pari a 80 centesimi di euro e saper recitare correttamente i versi coranici. Se non lo fanno, il marabout li picchia e sovente li sottopone a violenze psicologiche e sessuali.
Moustapha
Durante la mia permanenza incontro un italiano che lavora da 5 anni a Saint Louis e che da alcuni mesi si prende cura di un bambino talibé di nome Moustapha.
Moustapha ha sette anni e proviene dalla regione Nord del Senegal. È sempre triste e denutrito e il suo corpo mostra segni di percosse. Il nostro amico gli compra magliette, scarpe e pantaloni oltre a farlo mangiare, ma nel giro di poco tempo Moustapha ritorna a essere il bambino sporco e insudiciato di qualche giorno prima; e anche le mosche non hanno pietà per lui. Il marabout gli aveva confiscato i vestiti nuovi per sostituirli con i vecchi cenci, col pretesto di impietosire i passanti. Dal 2015 il governo ha promosso delle leggi che non sono state applicate.
Da quel momento, più di un migliaio di bambini talibé sono ritornati presso le proprie famiglie, ma la quasi totalità di essi è tornata nella “daara” sotto la guida del medesimo marabout. Il Governo Senegalese non ha condotto alcuna inchiesta formale nei confronti dei maestri di scuola coranica accusati di violenze.