Un intero villaggio all’estrema periferia di Bagan, situata sulla riva orientale del fiume Irrawaddy in Birmania (Myanmar) – un luogo che Marco Polo definì come il più bello mai visto prima – gravita attorno al business delle calzature.
L’odore pungente dei collanti arriva alle narici ben prima di raggiungere lo stabilimento, un capannone di lamiera, legno e vetri rotti. All’esterno una luce accecante. All’interno un caldo soffocante e ombra, tagliata violentemente da alcune lame di luce. Nell’aria il silenzio, misto all’odore di idrocarburi e gomma. Mani giovani e piedi nudi. Gli adulti e i ragazzi più grandi ai macchinari obsoleti, mentre gli altri si dedicano alle restanti mansioni. All’esterno i bimbi, piccolissimi, giocano e guardano cosa succede dentro al capannone, in attesa che arrivi il loro turno.
Una realtà inaccettabile
Il lavoro minorile è un fenomeno di dimensioni globali. Secondo le recenti stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), sono ancora 160 milioni i bambini — 63 milioni sono bambine e 97 milioni sono bambini — vittime di lavoro minorile. Quasi la metà, 79 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Molti di questi bambini vivono in contesti colpiti da guerre e da disastri naturali nei quali lottano per sopravvivere, rovistando nelle macerie o lavorando per strada.
Altri vengono reclutati come bambini soldato per combattere nelle guerre volute dagli adulti.
La realtà che questi dati ci descrivono è inaccettabile.
La già precaria situazione umanitaria del Myanmar è precipitata dopo il colpo di stato militare del 2021. Aung San Suu Kyi, attivista per i diritti umani, fiera oppositrice del regime militare in Birmania e premio Nobel per la Pace nel 1991, è stata nuovamente arrestata durante il golpe di tre anni fa. Considerata un simbolo dei diritti umanitari e della democrazia, quando era alla guida del suo Paese Aung San Suu Kyi è stata al centro delle critiche internazionali per la gestione delle violenze ai danni della minoranza musulmana birmana dei Rohingya.
Le foto che seguono sono state scattate nel novembre del 2015, durante le storiche elezioni democratiche tenutesi nel Paese – che ha cambiato nome dopo il golpe del 1989 – guidato dal 1962 da un regime militare attualmente di nuovo al potere.