Ogni trent’anni nei boschi sacri della Casamance, a sud del Senegal, centinaia di giovani diola diventano uomini attraverso l’iniziazione del Boukout. Bambini e ragazzi, sparsi in tutto il Paese e nel mondo, vengono richiamati nel proprio villaggio natale per sottoporsi al rituale del boukout, riscoprire le proprie radici e conoscere i segreti della propria cultura.
Centinaia di bambini e di giovani, richiamati all’ordine, si riversano nel villaggio per prepararsi all’iniziazione: spogliati di ogni bene della modernità, si sottomettono ai divieti e alle regole della tradizione, trasmesse nei secoli dagli antenati ai saggi del villaggio. I giovani cambach si sottopongono al rituale della rasatura e della benedizione effettuata con erbe sacre, preparate secondo la tradizione animista e benedette nelle modalità dei monoteismi moderni. E mentre si esibiscono nella danza tradizionale, appresa mesi prima, gli uomini già iniziati sbalordiscono chiunque con dimostrazioni esilaranti di coraggio: grazie al potere mistico di una radice segreta, proveniente dal bosco sacro, cercano di ferirsi con lunghe lame taglienti diverse parti del corpo che restano illese. I cambach entreranno poi nel bosco sacro, dove apprenderanno i segreti mistici della foresta e della propria cultura, che li renderà finalmente uomini.
E che, una volta usciti, mai e poi mai riveleranno.
Un tempo il boukout si teneva ogni dieci anni, e gli iniziandi rimanevano nella foresta fino a tre mesi. Oggi, visti l’immenso costo per le famiglie e per il villaggio della cerimonia, l’emigrazione dei giovani e il più alto tasso di scolarizzazione dei bambini, la cadenza del boukout si è allungato, e il tempo di permanenza nel bosco sacro si è ridotto a due settimane. Essendo l’iniziazione vincolante per ogni uomo diola, oggi il bosco sacro resta aperto fino a un anno, per dare tempo ai ritardatari, magari emigrati fuori continente, o ai propri figli (compresi i meticci), di poter sottoporsi al rito della cultura diola e delle sue tradizioni, che rimane il comun denominatore nonostante le differenze religiose dei suoi appartenenti, musulmani o cristiani che siano.
In questo senso, è veicolo di valori di tolleranza e uguaglianza, ma anche, come tutti i rituali di iniziazione, di umiltà, di rispetto delle regole, e, in questo caso, anche di rispetto verso l’ambiente.
Ho avuto la fortuna di assistere, insieme alla fotografa Alida Vanni, al boukout che si è svolto nel 2013 nel villaggio di Kartiak. L’emozione e il fascino stava proprio nel sperimentare in prima persona come una cultura tradizionale si adatti e si modelli flessibilmente, per poter sopravvivere, al contesto di un mondo globalizzato; nello scoprire con piacere quanto tale cultura tradizionale sia nonostante tutto ancora viva e, soprattutto, rispettata; infine, e soprattutto, nel demistificare quell’immaginario di “africani che danzano in cerchio e suonano tamburi durante i loro riti tribali”: il fatto di cogliere e “vivere” il significato del rituale permette di riconoscere anche i valori della mia cultura di appartenenza, e di capire come siano semplicemente diversamente veicolati, coerentemente a ogni contesto. Quella demistificazione, ancora una volta, avviene vivendo la realtà, con le persone; e il declique arriva magari quando riconosci il tuo vicino di casa di Dakar, fino al giorno prima in t-shirt e jeans a parlare il tuo stesso linguaggio, danzarti davanti con un cappello di corna di bue in testa.
Ecco allora a voi i testi e le immagini sul boukout dei diola della Casamance: permettevi il gusto di lasciarvi stupire e affascinare, senza giudizi di sorta. Fate insomma, unicamente, un buon boukout.