Può sembrare paradossale che una città labirintica, caotica e affollata come Fez (o Fès) sia stata per me una bussola in grado di riportarmi esattamente dove volevo essere: sulla “soglia” di chi osserva il mondo e i suoi fenomeni, essendone al contempo partecipe ed estranea, tanto da poterlo raccontare.
Molteplici sono state le volte in cui mi sono persa per cercare luoghi e, soprattutto, chi li vive nel modo più autentico possibile. E mi sono resa conto come, forse, proprio qui a Fès più che in qualsiasi altro posto finora visitato, gli stereotipi riescano a ingabbiarci in realtà patinate neppure lontanamente vicine al vero!
Nella Vecchia Medina di Fès
Il primo incontro con Fès è stato piuttosto impattante. Il taxi mi ha abbandonata davanti a Bab Bou Jeloud (la porta blu), l’ingresso principale della Vecchia Medina (Fes el-Bali) dove, a quanto pare, mi sarei dovuta avventurare a piedi alla ricerca del mio Riad. Nessun problema, se non fosse che Fes el-Bali è un’immensa “area pedonale” sviluppata lungo dodici chilometri, la più estesa e la più antica del mondo arabo, oggi patrimonio dell’UNESCO. Un vero e proprio groviglio di vicoli – circa 9400 – di cui tanti senza uscita e molti neppure menzionati su google maps. Quando ci sei dentro sembra quasi impossibile pensare che fuori possa esistere qualcos’altro!
Nella Vecchia Medina tutti i mezzi a motore non possono accedere. Non ci sarebbe lo spazio utile, tra gente, banchetti di ogni genere e la larghezza delle strade, a tratti claustrofobica, dove a stento passa un mulo, figuriamoci un’auto. Difatti, gli unici mezzi di trasporto a Fes el-Bali sono proprio asini, muli e bardotti. Questa loro massiccia presenza ti catapulta immediatamente in una città che, a un occhio estraneo, sembra essersi fermata in un tempo che non c’è più. “Balak, Balak” (attenzione, attenzione), è un grido a cui ci si abitua presto nella Medina. Annuncia il loro passaggio, sempre con passo svelto e carichi di qualsiasi mercanzia. Questo viavai continuo scandisce i tempi e le pause delle contrattazioni, costringendo la gente a fermarsi a ridosso delle mura o a cercare un varco o rifugio nelle piccole botteghe, per cedere loro il passo.
Questi animali rappresentano un’ancora di salvezza per la comunità. E si possono quasi definire un lusso per chi li possiede. Sono loro il motore delle fragili comunicazioni di Fes el-Bali. Se improvvisamente sparissero, credo che il tempo tornerebbe a scorrere e la Medina perderebbe la sua unicità. Persino le numerose guide che spesso si incontrano, raccomandano ai turisti di fare attenzione ai muli, in quanto “padroni della città”.
La sofferenza negli occhi
L’incantesimo della più grande area urbana senza auto al mondo svanisce nel momento in cui il nostro sguardo incrocia quello dei “suoi padroni”. Sofferenti, stanchi, sporchi e stressati, con carichi che superano di gran lunga la loro altezza. Ci sono quelli al trotto per il trasporto delle persone, ma principalmente quelli da carico sono destinati allo spostamento di qualsiasi merce: bombole di gas, rotoli di tappeti, carta, mattoni, pane, frutta, ortaggi. Ci sono “muli-spazzini” con sacchi enormi per la raccolta dei rifiuti. I “coca-muli”, compressi sotto indescrivibili quantità di bottiglie nere. I “muli di bronzo”, destinati al trasporto di oggetti in metallo. E poi ci sono gli “irriconoscibili”, muli di cui non si vedono neanche i corpi per la quantità smisurata di pelli scuoiate che li ricoprono. A lungo andare pesi del genere, su animali spesso denutriti, creano inevitabilmente danni gravi alla schiena e agli arti. Spesso poi i proprietari, per ignoranza o inconsapevoli dell’esistenza di pratiche migliori, hanno abitudini piuttosto brutali nei loro confronti. Una di queste è mettergli sale negli occhi o pungolarli con bastoncini affilati per spronarli a velocizzare il passo. Usano inoltre ancora morsi arcaici che lacerano il palato, e imbracature poco adatte e dolorose. A causa di redditi piuttosto bassi, anche l’alimentazione di questi animali non è adeguata alla mole di fatica a cui ogni giorno sono sottoposti. Questi asini si nutrono di scarti o di mangime di scarsa qualità. Spesso, si incontrano asini che mangiano spazzatura, con l’alto rischio di ingoiare plastica o altri rifiuti che restano bloccati nel tratto gastrointestinale, causando a volte coliche anche fatali. La verità è che da sempre asini e muli, soprattutto nelle realtà rurali e più povere, rappresentano solo ed esclusivamente forza lavoro, “strumenti” di sussistenza a cui non è concesso rispetto, stare male, rallentare.
Una clinica gratuita per gli asini e i muli di Fès
Il malessere di questi animali ha colpito me oggi, esattamente come colpì l’animo di un’altra donna, circa cento anni fa: Amy Bend Bishop. Una giovane e ricca americana che nel lontano 1926, durante un suo viaggio in Marocco, rimase fortemente impressionata dalla misera condizione degli asini, dei muli e dei bardotti di Fès, spesso feriti e coperti di piaghe e senza alcuna possibilità di essere curati, date le condizioni di povertà dei padroni.
Rientrata in America, Amy si mise subito in azione per poter offrire a questi animali nobili e laboriosi una vita migliore, fatta principalmente di cure adeguate. Ed ecco che grazie a una sua generosa disponibilità economica come capitale iniziale ($ 8000,00) e strette conoscenze come il dottor Francis Rowley, ai tempi presidente della Massachusetts Society for the Prevention of Cruelty to Animals (MSPCA) e Sydney Coleman, un’importante attivista per gli animali di New York, fondò nel 1927 l’American Fondouk. Un rifugio (fondouk) che esiste e resiste ormai da novantasei anni, unico nel suo genere: una clinica equestre che offre cure e servizi totalmente gratuiti agli asini e ai muli di Fès. Infatti, anche se sono trascorsi quasi cento anni dalla sua nascita e il Marocco è un paese in via di sviluppo, gran parte della popolazione vive ancora in condizioni di estrema povertà. Le cure veterinarie qui sono considerate un lusso. E c’è ancora troppa chiusura mentale per guardare questi animali con occhio diverso. Eppure sembra paradossale se si pensa che la condizione economica di queste persone è intimamente legata alla salute e al benessere dei propri muli o asini che siano.
L’American Fondouk è supportato dal presidente e dall’intero consiglio della MSPCA-Angell di Boston, da fedeli e generosi donatori e da tutti gli amanti degli animali. La clinica oggi è nelle mani del direttore Ahmed Khairun, chirurgo equino, e del suo team, composto da quattro veterinari e altre ventitré persone tra cui personale para veterinario marocchino altamente qualificato, tecnici e un maniscalco. Inoltre, ci sono spesso studenti di veterinaria che dalle due alle quattro settimane possono svolgere qui degli stage, finalizzati all’acquisizione di competenze pratiche. La clinica è aperta tutti i giorni della settimana. La mattina solitamente si effettuano esami, controlli e diagnosi. Il pomeriggio invece è dedicato alle medicazioni e agli interventi.
Un modo per debellare l’incoscienza
Il direttore, estremamente disponibile, placa la mia immensa curiosità accompagnata da altrettanto stupore, mostrandomi i vari ambienti del Fondouk. Passiamo dal laboratorio analisi a quello diagnostico, dalla sala per le radiografie, alla mascalcìa, fino ad arrivare alla sala operatoria. Una spaziosa stanza rossa, con pareti e pavimento imbottiti per prevenire lesioni. Mi spiega che i ricoveri maggiori si hanno per zoppia che spesso coinvolge più di un arto, fratture ossee, lesioni dei tendini, distorsioni dovute agli eccessivi carichi. Altrettanto comuni sono gli spasmi addominali e le coliche, causate dalla spazzatura che spesso ingeriscono. Generalmente gli equini, se sono in grado di camminare, arrivano al Fondouk sulle proprie zampe, accompagnati dai padroni. Per i casi più delicati, invece, la struttura mette a disposizione un’ambulanza sia per prelevarli che per riconsegnarli.
I box disponibili per le degenze sono quaranta e tutti occupati. Uno, in particolare, attira la mia attenzione, perché contrariamente agli altri, ha la porta chiusa. Guardo il dr. Khairun il quale intuisce la mia perplessità dicendomi: “apro solo pochi secondi ok?”. Mentre la finestra della stalla si spalanca lentamente, intravedo un piccolo asinello dalle orecchie fasciate di giallo e azzurro per limitare il più possibile i rumori. Impassibile, non si volta. Pochi istanti dopo la finestra si richiude con la stessa delicatezza. Il direttore mi spiega che il povero animale è affetto da tetano, i cui sintomi sono spesso esasperati dall’eccitazione o da stimoli esterni, come luci intense e rumori forti. Il tetano è solo una delle numerose malattie virali o batteriche con cui gli animali da lavoro devono combattere per la mancanza di vaccini. I proprietari oltre che poca disponibilità economica, hanno purtroppo anche poca consapevolezza sull’importanza della prevenzione. “Medicare una ferita richiede poco tempo”, mi spiega il dr. Khairun “cambiare atteggiamento richiede purtroppo generazioni. La vera malattia da debellare è l’incoscienza”. Il Foundouk si impegna anche in questo: cerca di educare e sensibilizzare proprietari e non, alla cura, all’alimentazione e al mantenimento di una vita sana del proprio animale da lavoro, da cui la comunità di Fès dipende.
Tra ragli sofferenti e figure macilente, fasciate o intubate, riesco a scorgere solo dolcezza: animali mansueti, a tratti buffi, dalle orecchie lunghe, la testa pesante, grandi labbra e occhi umidi e profondi. Non risiede nei luoghi comuni la loro storia, ma sulle schiene ingobbite dei loro corpi. Il mondo soffre troppo di indifferenza ed è solo questa che bisogna azzoppare. “Balak”!