Conflitto ucraino o guerra del Donbass, 2016
Ci sono credenze condivise che portano gli uomini a fare scelte di vita estreme e disumane, ma talmente radicate da risultare normali, o addirittura una cultura. Ed ecco che ci si abitua all’odore di gomma bruciata che riempie le narici, a un paesaggio surreale fatto di mine, filo spinato, cumuli di edifici distrutti, ammassi informi di lamiere contorte.
È questa l’immagine della periferia orientale dell’Ucraina, dove uomini da anni convivono con i boati dei colpi di mortaio e delle granate. Volti ormai stanchi, ma fieri, fieri di essere Ucraini.
Mercenari dell’ideale, chiamati soldati, volontari, eroi, violenti o coraggiosi, ma anche padri, figli, compagni, fratelli. Generazioni diverse, con le mani annerite dal grasso degli AK47, che vivono la guerra, dove per assurdo, in questa loro follia quotidiana, riemergono valori e sentimenti sopiti, tipici dell’essere umano. Nel tempo frenetico della guerra, esiste una pausa, un tempo di sospensione dell’azione, ed è qui che i loro sguardi si perdono, ed esplode peggio di un boato la contrapposizione intrinseca tra il lato umano e il loro lavoro di soldati, che li costringe ad essere disumani. Tra casse di munizioni e disordine ovunque si aggirano gatti randagi a caccia di ratti, delle mascotte di cui prendersi cura. Dei soldati tanto quanto loro. C’è chi beve un caffè, chi fuma una sigaretta, chi abbraccia e si prende cura di un kalashnikov dalle impugnature sbiadite.
Momenti necessari con cui si crede di mantenere una connessione con il “mondo normale”, in una situazione del tutto anormale.
Un’apparente calma interrotta da passi pesanti a calpestare cumuli di memoria, da parole incomprensibili, a stento bisbigliate o dai silenzi di chi parole non ne ha più. Facce grosse, colli enormi e taglie grandi da uomini dell’Est, si alternano a volti spenti, annoiati, occhi persi cerchiati di stanchezza, tutti però guidati da convinzioni analoghe: quelle di un “nuovo ordine” e di una “rivoluzione nazionale”.
Marcato è in ognuno di loro lo spirito nazionalista, un nazionalismo malsano, che va oltre la vita stessa, che non vede affetti, mogli, figli, madri, padri, che piangono le loro assenze, temporanee e spesso perenni, o che in alternativa, devono rassegnarsi a ritrovare figli che la guerra l’hanno incisa sul corpo.